Saint Vincent e Grenadine sono un arcipelago delle Piccole Antille, negli incantati Caraibi. Saint Vincent, l’isola principale, ospita Kingston, la capitale: il resto sono 32 isolette scoperte per caso da Cristoforo Colombo il 22 gennaio 1498 e oggi dedite soprattutto alla coltivazione di banane e pesche. Uno degli ultimi paradisi terrestri del pianeta, non a caso amatissimo da rockstar e divi di Hollywood come DiCaprio, Clooney e il principe Harry, considerato una delle mete più gettonate dai crocieristi di tutto il mondo, che soprattutto sta diventando una calamita per i miliardari da ogni dove.
Oltre alla capitale, una delle mete più esclusive è Canouan, “l’isola delle tartarughe”, lontana dal turismo di massa e dotata di un aeroporto aperto solo ai voli privati, un porto progettato per accogliere yacht lunghi quasi più dell’isola stessa e un’infilata di hotel a cinque stelle pronti per chi decide di sbarcare a terra.
Non è la prima volta: i Caraibi sono da sempre un’occasione unica per chi ama diversificare gli investimenti e al tempo stesso concedersi lo sfizio di possedere un immobile in posti che il resto del pianeta può solo guardare in fotografia. Sulle 32 isole dell’arcipelago i prezzi di un immobile oscillano fra 1000 e 3000 dollari al metro quadro: a fare la differenza sono le abitazioni colpite più o meno duramente dalla tempesta tropicale Beryl e più che altro dall’uragano Irma, che nel 2017 aveva messo in ginocchio buona parte dei Caraibi causando 134 morti e 64 miliardi di dollari di danni.
Ma al netto dei capricci del clima, ad attirare sempre più gente – pardon, miliardari – verso Saint Vincent e Grenadine sono una fiscalità che prevede una tassazione delle imprese del 30% sugli utili, anche se numerose agevolazioni e scappatoie legali permettono riducono facilmente l’aliquota, a cui aggiungere l’assenza assoluta dell’Iva, tassa che da quelle parti non è ancora arrivata. A tutto questo va aggiunto ancora un solido sistema bancario certificato dalla presenza di numerosi colossi internazionali che permettono di aprire c/c, offrono servizi di pagamento e investimento e ammettono strumenti legali come trust o fondazioni per separare il patrimonio personale da quello aziendale.
La formula societaria più utilizzata è la “LTD” (Private Limited Company): al costo di 500 dollari, oltre ad offrire la responsabilità limitata degli azionisti, richiede il minimo sindacale di un azionista, la nomina di un direttore e appena un dollaro di capitale sociale. Per le società quotate in borsa, l’ideale è la “PLC” (Public Limited Company): più complicata e costosa della precedente (1.000 dollari il costo), richiede due azionisti e due amministratori, più un capitale sociale minimo di 50.000 dollari. Molti stranieri si affidano ad una “Branch Office”, in pratica l’estensione estera di una società che opera sotto il controllo di una casa madre, che dev’essere accompagnata da numerosi documenti ma in compenso essendo considerata una succursale non richiede l’impegno di alcun capitale sociale.
Un gradino più su, per concludere, arriva l’opzione della “IBC” (International Business Company), un modello di società pensato per le attività commerciali internazionali. A fronte di un costo di 1.000 dollari, senza alcun capitale sociale da versare, offre un’aliquota fiscale dello 0%, la protezione della privacy, la flessibilità operativa e la detenzione di investimenti e licenze di proprietà intellettuale.
Va detto, per dovere di cronaca, che Saint Vincent e Grenadine erano fra i paradisi fiscali coinvolti nello scandalo dei “Panama Papers”, l’inchiesta giornalistica che nel 2016 ha svelato le attività della “Mossack Fonseca”, una società panamense specializzata nella creazione e la gestione di migliaia di società controllate da politici, capi di stato e di banche di tutto il mondo, Italia compresa.
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