“Oggi è una grande vittoria per i cittadini europei e per la giustizia fiscale”. Margrethe Vestager, commissaria UE alla concorrenza non riesce e trattenere l’entusiasmo di fronte alla doppia sentenza della Corte di Giustizia UE, una doppietta definita dagli osservatori internazionali un passaggio epocale nei rapporti sempre conflittuali tra Bruxelles e le Big Tech, i colossi della tecnologia e dell’informatica, dove a soccombere finora era sempre stata la UE. Basta citare la vittoria dello scorso anno di Amazon, che ha avuto la meglio sui 250 milioni che Bruxelles pretendeva fossero versati in Lussemburgo, e quella precedente, con protagonista il colosso della caffetteria “Starbucks”, che era riuscita ad evitare di versare 30milioni di imposte all’Olanda.
Questa volta la doppia vittoria mette la parola fine ad una battaglia legale durata un decennio colpendo da un lato “Apple” e dall’altro “Google”. La prima, costretta a pagare 13 miliardi di euro al fisco irlandese per via di aiuti di Stato concessi da Dublino e considerati illegittimi, la seconda a cui è invece stata recapitata una multa da 2,4 miliardi di euro per abuso di posizione dominante.
Fra le due, la sentenza dal peso specifico maggiore riguarda il colosso di Cupertino, che si è vista ribaltare una decisione del 2020 del Tribunale UE, che dopo il riesame aveva annullato il caso legato ad un “tax ruling” fiscale particolarmente vantaggioso garantito dall’Irlanda ad Apple in un arco di tempo che dal 2003 al 2014. In pratica, grazie ad una complicata architettura aziendale, per la sua sede di Cork, Apple aveva goduto di un’aliquota inferiore all’1% (a fronte del 12,5% previsto) fino a quando le regole fiscale irlandesi erano cambiate e l’Antitrust della Commissione UE aveva acceso i riflettori per vederci più chiaro.
Il conto, pari a 13 miliardi di euro di imposte, già versati e custoditi in un conto di garanzia, spettano al fisco irlandese. Una cifra che secondo Apple avrà effetti sul quarto trimestre dell’esercizio fiscale con un onere ‘una tantum’ di 10 miliardi di dollari destinato a “far salire l'aliquota fiscale effettiva della società per il trimestre”. In serata, il titolo della Mela a Wall Street faceva segnare un calo dell’1,7%.
“Questo caso non ha mai riguardato la quantità di tasse che paghiamo, ma il governo a cui siamo tenuti a pagarle. Paghiamo sempre tutte le tasse che dobbiamo ovunque operiamo e non c’è mai stato un accordo speciale - hanno commentato a caldo da Cupertino - la Commissione europea sta cercando di cambiare retroattivamente le regole, ignorando che, come previsto dal diritto tributario internazionale, il nostro reddito era già soggetto a imposte negli Stati Uniti. Siamo delusi dalla decisione odierna, poiché in precedenza la Corte di Giustizia aveva riesaminato i fatti e annullato categoricamente il caso”.
La seconda sentenza, anch’essa definitiva, riguarda invece la causa fra l’Antitrust UE e Google, accusata di abuso di posizione dominante per aver garantito la massima visibilità a “Google Shopping”, il proprio servizio di comparazione dei prodotti.
Tutto era iniziato otto anni fa, quando l’Antitrust UE aveva rilevato che in 13 Paesi europei Google presentava i risultati di ricerca del proprio comparatore di prodotti in prima posizione, evidenziandoli all’interno di “box” con informazioni attraenti, lasciando ai prodotti della concorrenza uno spazio marginale.
Anche in questo caso, il colosso di Mountain View ha replicato dichiarando la propria delusione: “Abbiamo apportato modifiche nel 2017 per conformarci alla decisione della Commissione UE. Il nostro approccio ha funzionato con successo per più di sette anni, generando miliardi di clic per più di 800 servizi di comparazione degli acquisti”.
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