10 febbraio 2025

I fringe benefit e la stangata delle auto aziendali

Dal 1° gennaio scorso, il calcolo si è spostato dalle emissioni inquinanti al tipo di alimentazione, creando in questo squilibri macroscopici, con auto potenti e lussuose che pagano molto meno delle piccole utilitarie

Autore: Germano Longo
Si prenda, giusto per fare un esempio, una semplice e umile Fiat Panda base, con 1.0 di cilindrata e appena 69 CV: secondo le nuove regole sui fringe benefit, il valore annuo imponibile è pari a 2.918,25 euro. Mentre per una ben più lussuosa Porsche Taycan elettrica, con potenza pari a 1.030 CV (760 kW), il valore del fringe benefit imponibile complessivo è di 1.392,90 euro.

L’esempio, calcolato da Il Sole 24 Ore e ripreso da diversi quotidiani, è utile per spiegare che, nei meandri della politica e soprattutto in quelli del fisco, dove la regola è "mettere mano su tutto", a volte sfuggono calcoli che diventano sviste clamorose.

Ad esempio, in questo caso, la questione riguarda le auto aziendali ad uso promiscuo concesse come fringe benefit. Come stabilito dalla Legge di Bilancio, dal 1° gennaio scorso i meccanismi di calcolo sono cambiati, legandosi al tipo di alimentazione del veicolo e non più alle emissioni inquinanti, come avveniva fino alla fine del 2024, quando il tutto era semplificato in quattro fasce con aliquote variabili dal 25% al 60%.

Così, considerando che l’auto aziendale è per sua natura un fringe benefit – e come tale deve essere considerata parte della retribuzione del dipendente, quindi soggetta a tassazione – la rimodulazione del calcolo del valore ai fini fiscali e contributivi, basata sul 50% del costo per 15.000 km convenzionali (in base alle tabelle ACI), ha inevitabilmente aumentato la tassazione per i dipendenti, rendendo molto meno appetibile accettare l’assegnazione di un’auto aziendale.

Dov’è l’inghippo? Semplice: dal 1° gennaio scorso le nuove percentuali di tassazione sono pari al 10% del costo chilometrico per le auto elettriche, al 20% per le ibride plug-in e arrivano al 50% per benzina e diesel.

L’Aniasa (Associazione Nazionale Industria dell’Autonoleggio, della Sharing Mobility e dell’Automotive digital), analizzando i veicoli aziendali più noleggiati, ha stimato un aumento annuo del valore imponibile del fringe benefit pari a una media di 1.600 euro, ovvero un incremento del +67%. Un aumento che, a catena, avrà ripercussioni sui contratti di noleggio stipulati dal 1° gennaio in poi, causando una contrazione del mercato delle auto aziendali. Molti preferiranno rinunciare al nuovo modello e mantenere l’auto già assegnata prima dell’introduzione della nuova normativa.

Calcoli alla mano, per l’Aniasa, solo nel 2025 si prevede una riduzione del 30% – pari a circa 60.000 veicoli – nelle nuove immatricolazioni di auto destinate al noleggio a lungo termine. Tuttavia, secondo altre analisi di settore, il calo potrebbe arrivare al 40%. Non va poi trascurato l’impatto sulle finanze pubbliche: le Province rischiano di perdere circa 32 milioni di euro di entrate.

Le auto con motore termico, in particolare le “antiche” diesel e benzina comprese nella fascia di emissioni tra 61 e 160 g/km di CO₂, rappresentano il 75% delle immatricolazioni effettuate da soggetti con partita IVA. Per queste vetture, il coefficiente fiscale è aumentato dal 30% al 50%, con una crescita del 65% del valore del fringe benefit. Questo si traduce in 90 euro in meno sulla busta paga dei dipendenti e altri 50 euro di oneri previdenziali a carico dell’azienda, per un aumento complessivo superiore a 1.600 euro all’anno.

“Aumentare la tassazione sulle vetture utilizzate dai dipendenti delle imprese significa colpire un settore strategico, quello dell’auto aziendale – ricorda il presidente di Aniasa, Alberto Viano –. Riteniamo necessaria una rivisitazione della misura, prevedendo un aumento dilazionato che non penalizzi l’attuale parco circolante, anche per evitare gravi ricadute sul mercato dell’automotive”.
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