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Identità e dignità

Autore: Ester Annetta
Ci sono storie di coraggio e resilienza che sono tali per loro connotazione naturale: nascono già con questa etichetta ed è dunque facile assumerle come paradigmi esemplari da diffondere a beneficio di un apprezzamento già scontato.

L’identità dei loro protagonisti è un punto d’onore, e non indica solo il dato anagrafico di un nome e di un cognome altrimenti destinati a rimanere anonimi, ma l’autentica conquista di uno status, l’affermazione (o la rivendicazione) di ciò che a lungo si è ambito di raggiungere, tra mille ostacoli o pregiudizi, per dimostrare di valere, d’essere refrattari alla resa, d’essere incatenati alla sedia d’un “fortissimamente volli” che alfine ripaga con la soddisfazione della riuscita.

Ci sono due recenti storie – in proposito - che mi vengono in mente, entrambe calate nel contesto didattico (a me tanto caro), il più agito dei campi di prova in cui può sperimentarsi la forza dell’impegno - ma, soprattutto, la disponibilità, l’accettazione, l’inclusione – a dispetto delle troppe volte in cui invece finisce per essere un contesto ostile, nonostante l’abbondanza di norme, interventi e dichiarazioni d’intenti sbandierati a vanto dell’efficienza del nostro sistema educativo.

Una è la storia di Giulia Grasso, 23enne studentessa di Bari che ha vinto la sua battaglia contro ansia, senso di inadeguatezza e depressione causati da un percorso di studi travagliato, giungendo infine a conseguire la tanto agognata laurea. In un lungo post affidato ai social, l’ha voluta dedicare “a quelle persone che hanno preferito rinunciare, che sono state soffocate dall'ansia, che sono arrivate a preferire la morte piuttosto che a dover dire di non riuscire ad affrontare l'università italiana. Perché nessuno parla mai di loro. Perché nessuno pensa mai a chi non ce la fa più, a chi si porta quell'esame dietro per anni e non perché non studia, ma perché qualcuno ha deciso che quella domanda sulla nota a piè di pagina di uno dei tre libri da 500 pagine a cui non ha saputo rispondere, vale la bocciatura (…) a chi ha passato notti intere a piangere, notti insonni a domandarsi: "ne vale davvero la pena?", giornate a studiare sui libri per poi sentirsi dire che non era abbastanza” chiosando, infine: “Voi siete tante cose, ma non siete quel fallimento che vi fanno pensare di essere.”

L’altra e la storia di Annunziata Murgia che - a conferma dell’idea del maestro Mansi che, negli anni ’60, conduceva il corso di istruzione popolare per il recupero degli adulti analfabeti, intitolato non a caso “Non è mai troppo tardi” – lo scorso 17 giugno, a 90 anni d’età, ha realizzato il suo desiderio di conseguire la licenza media. Aveva dovuto interrompere gli studi a causa dello scoppio del secondo conflitto mondiale e, dopo una vita di lavoro e famiglia, ha deciso che era tempo di chiudere quel cerchio. E, così, ha seguito diligentemente le lezioni, studiato i suoi libri, compilato la sua tesina e sostenuto il suo importantissimo esame, riscattando quel vuoto che aveva ancora urgenza di colmare.

Del resto è vero per tutti - qualunque sia il traguardo che ci si è prefissi - che se non si lotta per realizzare ciò in cui si crede, se si vive senza ambizioni e progetti, non si potrà mai rendere la propria vita straordinaria.

Ci sono però anche le storie per le quali il coraggio e la resilienza non bastano, perché il peso del pregiudizio e della condanna esterni è maggiore e dunque tende a schiacciare la volontà, la resistenza, l’affermazione di quel sé che agli occhi dei più appare scandaloso e provocatorio.

Il contesto è sempre quello scolastico - anche se considerato con l’ulteriore connotazione di luogo di lavoro oltre che di ambiente deputato all’istruzione - e la storia è quella di Cloe Bianco. Luca, all’anagrafe.

Valente insegnante di fisica, nel 2015 Cloe ottiene il ruolo e forse è proprio sull’onda della sicurezza acquisita con quella raggiunta stabilità che decide di rivelarsi per ciò che davvero è, mostrando il suo diverso orientamento sessuale dopo anni di “clandestinità”. “Da oggi chiamatemi Cloe” dice ai suoi alunni un giorno, presentandosi in classe con le sembianze che ha desiderato da quando aveva 5 anni: gonna corta, rossetto, parrucca bionda.

E’ l’inizio della sua fine: il Dirigente Scolastico dell’istituto dove insegna – che pure aveva dichiarato di sostenere la scelta di Cloe – non riesce (o non vuole?) contenere le polemiche e le rimostranze che provengono dai genitori degli studenti: ne va del buon nome della scuola e si travisa la figura dell’insegnante, generando confusione in quelle belle testoline che hanno bisogno di punti di riferimento inequivoci.

Perciò Cloe viene prima temporaneamente sospesa, poi demansionata a funzioni di segreteria. Ricorre al tribunale del Lavoro, che però sentenzia che il suo coming out non era stato «responsabile e corretto», e che avrebbe dovuto preparare prima la classe.

Così Cloe resta dov’è finita: lontano dalla classe, dai suoi alunni, emarginata e derisa anche dai colleghi. Inevitabilmente finisce per ritrarsi sempre più, rifugiandosi in un mondo tutto suo da cui osserva e condanna – tramite il suo blog - quello che la circonda e la respinge, più falso di quanto vogliano far passare il suo.

La sua casa diventa un camper e lì resta negli ultimi sette anni, fino allo scorso 11 giugno quando, dopo aver brindato alla vita che non aveva avuto con un ultimo calice di buon vino, manda al rogo quel suo minuscolo spazio vitale su quattro ruote e la sua stessa esistenza.

Solo allora la coscienza collettiva – sopita in questi lunghi sette anni – si ridesta. E condanna, e drammatizza, e annuncia iniziative e azioni, e sublima il martirio ideologico, e riconosce l’abuso, e…e…e…: le tante recriminazioni infilate in sequenza che si sarebbero dovute invece considerare concretamente in un lasso di tempo in cui invece Cloe è stata reietta e dimenticata, in un panorama asfittico in cui la lotta all’omotransfobia e a tutte le ricadute della discriminazione di genere continua a rimanere ferma al palo, tra le più assurde ed utopiche conquiste mai tentate da una coscienza collettiva irrispettosa prima di tutto della dignità, qualsiasi essa sia.

Cui prodest?

Ancora una volta solo a saturare gli spazi di blog, forum, contest, podcast ed ogni altro ambito destinato a rimanere tronco d’ogni finale e finalità, come le stesse parole che lo definiscono.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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