Rende, lunedì 31 gennaio 2022, ore 10 circa.
Un uomo sulla trentina giunge a bordo di una 600 gialla davanti alla locale Caserma dei Carabinieri; ferma l’auto, scende e si dirige verso l’ingresso. In mano ha un contenitore di plastica pieno di liquido infiammabile.
Mentre avanza verso il portone, solleva il recipiente e si cosparge col suo contenuto, una prima e una seconda volta; schiaccia quindi il pulsante del citofono della Caserma e inizia ad inveire con frasi incomprensibili e sconnesse.
Poi, con un gesto repentino, estrae dalla tasca un accendino e lo aziona, accostandoselo ai vestiti.
In un batter d’occhio le fiamme lo avvolgono, ma l’uomo continua a camminare senza una precisa traiettoria, eretto, metà automa metà torcia umana, senza emettere alcun grido, alcun gemito. Eppure sta bruciando.
Poco distante due uomini – due gommisti che esercitano la loro attività proprio di fronte alla caserma – assistono a tutta la scena e, prontamente, intervengono cercando di domare le fiamme con l’aiuto di due estintori.
Sono le loro le urla disperate che riempiono il potente silenzio che si è creato intorno, mentre l’uomo continua a spostarsi tra i due come una pallina di flipper sotto il getto delle polveri estinguenti.
In pochi secondi le fiamme sono spente e l’uomo-torcia, col corpo già in gran parte devastato dalle ustioni, viene soccorso e portato via da un mezzo medico.
Lo sconcerto dei passanti è indicibile; la scena cui hanno appena assistito è di una drammaticità che lascia senza altre parole che l’interrogativo sul perché di un gesto così estremo.
Ma una risposta non c’è, almeno non nell’immediato.
Passano alcuni minuti – non ore – e sui social, perlopiù tramite messaggi wathsapp, cominciano a circolare le immagini di quel terrificante spettacolo.
Un video, in particolare, mostra per intero la sequenza dell’uomo-torcia che cammina davanti all’ingresso della Caserma, in perfetto equilibrio, eretto, come se ad avvolgerlo non fossero delle fiamme reali ma quelle di un realistico effetto speciale; poi l’accorrere dei due prodi gommisti, le loro urla mentre con gesti rapidi e disperati inseguono i suoi movimenti con gli estintori, attaccandolo da due lati nel tentativo di ridurre il rogo nel minor tempo possibile.
Il video si blocca nel momento in cui l’uomo scompare dietro una coltre di fumo, generata dal fuoco spento e dall’espansione delle polveri estinguenti, che lo avviluppano in luogo delle fiamme.
E ci sono ancora altri video e altre foto: riprese ed istantanee scattate mentre l’uomo viene trasportato in ospedale e perfino in ambulanza.
Non è solo un passaparola affidato ai social: ben presto quelle stesse immagini finiscono nella Rete più vasta, impiegate per montare servizi ed articoli di varie testate giornalistiche online: sono quelle che evidentemente si fanno meno scrupolo d’altre nello spettacolarizzare le tragedie, puntando unicamente ed essenzialmente allo scoop, all’”effetto”, incuranti della dignità che stanno calpestando, mandando al rogo – è proprio il caso di dirlo – un dramma umano ed un residuo di dignità come fosse un’eresia più che un gesto da affidare alla compassione.
Ma non basta, perché oltre allo sciacallaggio mediatico consegnato alle immagini c’è anche quello che viaggia sulle parole, o, meglio, sulle insinuazioni e sulla tendenziosità che spesso fungono da leve sottese a sostegno d’altre cause.
E’ così che inizia dunque a circolare la notizia secondo cui a motivo del gesto dell’uomo ci sarebbe la sospensione dal lavoro (e dallo stipendio) subita a causa della sua mancata vaccinazione contro il Covid: una bufala di tutta evidenza, surrettiziamente sostenuta -evidentemente - da chi popola frange che da tali argomenti possono trarre vantaggio, dacché già a lume di naso è facilmente intuibile l’assurdità d’un “ossimoro” qual è “uccidersi per paura di morire”!
Ancora una volta, dunque, s’assiste allo scempio d’un fatto di cronaca, d’un episodio d’umana tragedia senza cause apparenti, scavalcata e messa all’angolo dall’esecrabile piena di giudizi, immagini e menzogne che dilaniano la verità.
L’ha debitamente sottolineato l’Ordine dei Giornalisti di Calabria con una propria nota con cui - prendendo le distanze da quei sedicenti professionisti dell’informazione che ignorano, evidentemente, non solo i principi di deontologia professionale ma anche la comune moralità - ha condannato le testate giornalistiche che hanno pubblicato foto e video dell’uomo avvinto e dilaniato dalle fiamme: «immagini assai crude che certamente non aggiungono alcun elemento alla essenzialità e alla completezza della notizia ma che possono invece apparire figlie di una ricerca del 'sensazionale' finalizzato, più che a fornire informazioni, a raccogliere click e contatti sul web».
E, ricordando come «il lavoro del giornalista debba raccordarsi quotidianamente, per obbligo deontologico, non solo alla verità dei fatti e alla seria verifica dei fatti stessi, ma anche alla tutela della dignità delle persone, 'salvo che si ravvisi la rilevanza sociale dell'immagine' (art. 8 dell'allegato 1 del Testo unico dei doveri del giornalista)», ha sollecitato anche la sensibilità personale e professionale dinanzi ad ogni dramma umano che sconvolge sia la vita del suo protagonista che quello delle persone a lui vicine.
Un celebre film diretto da Brian De Palma descriveva con efficace allegoria “Il Falò delle vanità” (dall’omonimo romanzo di Tom Wolfe) in cui spesso arde il desiderio umano di trarre un qualunque vantaggio (economico, di popolarità, d’interesse politico) dalle distorsioni d’una realtà.
Può sembrare cinico ricorrere all’immagine del “falò” in una vicenda dove vi è un fuoco al centro d’un dramma; ma, in tale dramma come non mai è forse più evidente come sia proprio nella “vanità” che arde la condotta di quanti sulla verità dei fatti lasciano prevalere le dinamiche dell’eccesso e dell’artifizio.
Francesco Chiarelli è un uomo di 33 anni; un insegnante; probabilmente uno dei tanti precari che pur di lavorare ha accettato un incarico a centinaia di chilometri da casa, dove spende parte consistente dello stipendio che guadagna per pagarsi l’affitto d’uno squallido monolocale o d’una camera in un appartamento insieme a studenti fuori sede.
È un uomo afflitto da pene che non si conosceranno mai – forse solitudine, forse mancanza di rassegnazione per una perdita, forse un fallimento qualunque – o dal demone d’una depressione che ha divorato ogni sua energia ed ogni stimolo a reagire.
Ancor prima è una persona, che ha diritto al rispetto della sua tragedia.