Daniela Santanché, Maurizio Leo e Roberto Pella, rispettivamente ministro del turismo, viceministro del Mef e presidente facente funzioni dell’Anci (associazione Nazionali Comuni Italiani), sono lavoro per trasformare la tassa di soggiorno turistica in quella che hanno definito “un’imposta di scopo” da inserire nella prossima manovra finanziaria. Giuridicamente si tratta di un tributo che nasce per perseguire obiettivi precisi, un po’ come le famigerate accise sul prezzo dei carburanti istituite per finanziare guerre e disastri naturali risalenti ormai a qualche decennio fa, ma di cui paghiamo ancora oggi le conseguenze.
In realtà si tratta della rivoluzione fiscale più importante per il settore turistico su cui punta il Governo per dare una nuova veste alla tassa entrata in vigore nel 2011 che di anno in anno ha visto aumentare da 11 a 1.259 il numero di comuni che hanno deciso di applicarla, con un introito che lo scorso anno ha raggiunto i 972 milioni di euro. Ma almeno inizialmente, starà ai 7.904 comuni italiani decidere su base volontaria se applicarla o meno, anche se il punto d’arrivo è comunque di arrivare a renderla obbligatoria ovunque.
Prima di arrivare al passaggio finale, urge però uniformare le regole e renderle più semplici e trasparenti, gettando acqua sul fuoco anche per non irritare ulteriormente le associazioni che raggruppano degli albergatori, sul piede di guerra da mesi, liberando la categoria dagli impicci burocratici e spostando l’onere di monitorare e incassare le somme direttamente sui comuni italiani, che in cambio avranno la possibilità di disporre dei fondi per migliorare servizi, decoro e sicurezza. Ma proprio questo è uno dei tasti dolenti della questione: come faranno i comuni più piccoli e con scarse risorse a organizzare la riscossione dell’imposta? Per adesso, l’unica certezza è che dal prossimo anno non ricadrà più sugli albergatori l’impegno di incassare la tassa di soggiorno riscuotendola direttamente dai propri clienti.
Il secondo snodo su cui si gioca la trattativa è l’importo della tassa di soggiorno, che finora variava in base al tipo di località e pregio delle strutture, passando da un minimo di un euro ad un massimo di 10, ma per il futuro sarà un tavolo tecnico a stabilire diverse fasce di prezzo, proporzionali al costo dell’alloggiamento scelto per non incidere in modo tale da allontanare i turisti.
Tuttavia, è una rivoluzione che il ministro Santanché ritiene tassativa per migliorare il settore del turismo, fondamentale per l’economia italiana: “È necessario che i fondi derivanti dall’imposta vengano reinvestiti nel turismo e nelle infrastrutture cittadine che supportano i residenti e i turisti”. Dal punto vi sta fiscale, per il viceministro Leo è altrettanto convinto della necessità di semplificare quanto più possibile gli oneri dichiarativi degli albergatori garantendo regole uniformi dalla Valle d’Aosta alla Sicilia, mentre Roberto Pella dell’ANCI ritiene che i proventi siano da destinare al turismo, ma senza mai dimenticare la cittadinanza. E questo senza dimenticare una richiesta accorata dei comuni: che la tassa non si trasformi nell’ennesima espressione di burocrazia all’italiana, rendendo l’adeguamento alle norme un labirinto senza uscita.
Perplessità, al contrario, arrivano dal “Codacons”, che da un lato ritiene sbagliato pensare per i fondi a scopi diversi dal turismo e dall’altro chiede trasparenza nella gestione dei fondi con la creazione di una piattaforma accessibile al pubblico che riporti in dettaglio per ogni comune l’uso che è stato fatto dei denari derivanti dalla tassa. Il timore dell’associazione dei consumatori è che i fondi finiscano presto a tardi per coprire buchi di bilancio e migliorare le casse comunali, lasciando alle voci turismo e cittadinanza soltanto le briciole.
Altrettanto perplesso il tenore di una nota diffusa da Assoturismo-Confesercenti: “Sulla riforma dell'imposta di soggiorno siamo aperti al confronto. Non siamo, però, d'accordo con l'attuale impianto della proposta di modifica: il calcolo sulla base delle fasce di prezzo predeterminate rischia di far schizzare l'imposta a livelli insostenibili e fuori mercato rispetto al valore della camera. Bisogna invece assolutamente evitare incrementi: inciderebbero pesantemente sulla domanda turistica, in particolare quella interna, estremamente sensibile in questa fase alle sollecitazioni dei prezzi.
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