29 agosto 2024

La tassa di soggiorno? Un complicato “fai da te”

C’è chi non l’ha mai applicata, chi la tiene alla cifra più bassa possibile e chi invece rimpingua i 775 che ogni derivano dalla tassa di soggiorno. E a settembre, una riforma potrebbe renderla obbligatoria per tutti i 7.904 comuni italiani

Autore: Germano Longo
Istituita nel lontano 1910 per le stazioni climatiche, termali e balneari, per poi essere estesa nel 1938 a tutte le mete turistiche, la tassa di soggiorno è stata abolita nel 1989 per incentivare l’ondata di turismo prevista per i Mondiali di Calcio 1990 ospitati in Italia, per essere reintrodotta nel 2011. Oggi viene adottata da numerose città italiane: al momento varia da 1 a 10 euro per notte, in base a località e tipo di struttura, e soltanto lo scorso anno – secondo un’elaborazione del Centro Studi Enti Locali su dati del Mef, Banca d’Italia e Istat - ha fruttato 775 milioni di euro. Si applica a tutti gli ospiti di strutture ricettive: alberghi, agriturismi, bed&breakfast e appartamenti per soggiorni brevi.

All’inizio di agosto, dal Ministero del Turismo ha iniziato a circolare con insistenza la proposta di estendere (e aumentare) la tassa di soggiorno a tutti i Comuni italiani, sfruttando il momento aureo del Bel Paese, sempre più meta di stranieri carichi di dollari e infradito.

Nulla è ancora deciso e comunque tutto è rimandato a settembre, quando le associazioni di categoria e gli altri “attori istituzionali” ne discuteranno ad un tavolo, assicurano dal Ministero, anche se quando si parla di tasse è statisticamente difficile che la proposta torni al mittente. “Non tutte le tasse sono una tassa. Quella di soggiorno, meglio sarebbe dire di scopo, non lo è. In tempi di sovraturismo ci stiamo confrontando perché sia un reale aiuto a migliorare i servizi e a rendere più responsabili i turisti che la pagano”, ha ribattuto la ministra Santanché.

Ma la realtà è ben diversa dalle statistiche: secondo uno studio della Banca d’Italia risalente al 2018, ben 5.730 comuni italiani sono quelli inclusi negli elenchi regionali delle località ad alto tasso turistico e città d’arte, ma nel 2023 solo 1.268 di questi (il 22%), hanno evitato di applicare la tassa temendo che diventasse in un deterrente per i turisti, specie dopo la sfuriata della pandemia che ha messo in ginocchio il settore.

Di fatto, ognuno finora ha fatto come riteneva più opportuno, e il numero di comuni che si è adeguato è passato fra alti e bassi per anni, passando dai 1.003 del 2019 ai 1.046 dell’anno successivo, diventati 1.059 nel 2021 e 1.143 nel 2022.

A incidere maggiormente sui 775 milioni di euro sono i prelievi che arrivano dalle più importanti città d’arte italiane, meta del turismo tutto l’anno. Da Roma, prima in assoluto, a Firenze al secondo e Milano al terzo posto, anche se considerando la faccenda secondo un principio pro capite, il comune che ha goduto maggiormente è Corvara di Badia, in provincia di Bolzano, rinomata località sciistica del Trentino Alto Adige. Il motivo è semplice: l’equazione che da una parte vede la presenza di numerose strutture turistiche, a fronte dello scarso numero di abitanti effettivi (1.367), danno come risultato un prelievo pro capite di 1.448 euro, contro di una media nazionale che raggiunge i 26. In realtà, è tutta la zona ad essere baciata dalla fortuna: oltre a Corvara, il gettito pro capite dovuto all’imposta di soggiorno favorisce anche Selva di Val Gardena, Avelengo, Tirolo, Sesto, Scena e Badia. Al secondo posto della classifica si piazza però Limone Sul Garda, nel bresciano, con 1.404 euro riscossi per ogni abitante e al terzo Sestriere, in Piemonte , con 648 euro. Primo comune del sud risulta Positano, una delle perle della costiera amalfitana, che con 614 euro raggiunge il nono posto.

Per contro, c’è anche chi guadagna poco o nulla come i 56 comuni del Molise, che fino al 2023 hanno preferito non introdurre alcuna tassa di soggiorno. Una decisione infranta quest’anno da Campobasso, che per prima ha timidamente deciso di applicare una tassa turistica pari ad un euro al giorno.

Ma tornando alla riforma ventilata dal Ministero del Turismo, le associazioni di categoria sono pronte a dare battaglia fino all’ultimo, anche perché l’aumento sarebbe dirottato per la metà verso i servizi di gestione dei rifiuti e non più come forma di finanziamento unica del comparto turistico. Fra i primi a prendere posizione è arrivata Federalberghi, che sottolinea di non condividere “la proposta di aumentare ulteriormente la tassa. Anche perché sono trascorsi solo pochi mesi da quando, in vista del Giubileo, il tetto massimo è stato elevato del 40%, passando da 5 a 7 euro per notte per persona ed è stata introdotta la possibilità di utilizzarla per coprire i costi della gestione dei rifiuti, snaturando le finalità dell'istituto”. Per gli albergatori, la modifica porterebbe a spendere 10 euro in più a notte per una camera in un hotel a tre stelle venduta a 100 euro: “è come se da un giorno all'altro il peso dell'Iva, pari al 10%, venisse raddoppiato”.

A ruota si è schierata Confindustria Alberghi, aggiungendo che “le strutture recettive non possono essere un bancomat per i Comuni - tuona la presidente Maria Carmela Colaiacovo - sorpresa che dopo mesi di dialogo proficuo e di confronto si proceda improvvisamente all'approvazione di un testo che sembra far saltare alcuni dei capisaldi su cui si innestava la riforma in discussione”.

Insomma, per farla breve: se finora la tassa di soggiorno era una consuetudine di pochi euro al giorno dei capoluoghi e i centri ad alto tasso di turismo, adesso potrebbe allargarsi fino a coprire per intero i 7.904 Comuni italiani. E già che ci siamo, con una rivisitazione delle tariffe: fino a 5 euro per pernottamenti dal costo inferiore a 100 euro, fino a 10 per un soggiorno fra 100 e 400 euro, fino a 15 euro per sistemazioni fra 400 e 750 euro. Arrivando al massimo dei 25 euro per gli alberghi pluristellati, quelli con tariffe che superano i 750 euro a notte.

Un esborso che se probabilmente non influirà più di tanto sui flussi del turismo internazionale, ma che al contrario può avere forti ripercussioni su quello italiano. Secondo i dati Istat del 2023 contenuti nel report “Viaggi e vacanze in Italia e all’estero”, la domanda turistica interna lo scorso anno è rimasta pressoché stabile, ma ancora inferiore ai periodi pre-Covid. Il motivo? I rincari dei prezzi, sintetizzati da “Assoutenti” in +14% per villaggi vacanza, +5,7% ristoranti, +5,3% pacchetti vacanza, +16,1% parchi divertimento, +8,5% musei, +3,2% pedaggi, +1,6% parcheggi, +2,4% treni, +4,9% pullman, +37,8% voli nazionali, +16,4% europei e +10,8% internazionali.
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