“Il contribuente con 50mila euro di reddito non possiamo dire che sia iper-ricco, eppure paga il 43% di tasse, soglia che induce all’evasione”. Parole di Maurizio Leo, viceministro al Mef, che oltre ad ammettere implicitamente che la riforma dell’Irpef voluta dall’esecutivo targato Meloni finora ha portato pochi benefici ai meno ricchi, anticipa anche uno dei prossimi interventi del Governo per alleggerire il carico fiscale della cosiddetta “classe media”, quella su cui si scarica una buona parte di tasse, balzelli e tributi, il tutto per arrivare all’obiettivo della “flat tax” che – al netto dei dubbi di incostituzionalità - fra l’altro era stata una delle promesse pre-elettorali.
“Nel momento in cui in un rapporto molto più trasparente e collaborativo con il mondo delle imprese e delle partite Iva, si alzeranno i redditi che dichiarano, è nostro fermo impegno dire che dobbiamo abbassare le aliquote. Lo abbiamo fatto nel 2024, lo si dovrà fare anche nel 2025. Tenendo conto anche che il meccanismo attuale a 3 aliquote penalizza le classi medie: quindi vogliamo abbassare la tassazione per le classi medie - ha aggiunto il viceministro Leo – l’attuazione della riforma fiscale è in linea con gli obiettivi del PNRR, che prevedono tra l’altro la creazione di un sistema fiscale efficiente e definito e la riduzione dell'evasione fiscale. La prima fase della riforma fiscale si è concretizzata con l'approvazione di sette decreti legislativi tra dicembre 2023 e l'inizio di quest’anno”.
La strada, secondo il viceministro, dovrebbe essere quella di agire per scaglioni, cominciando dall’abbassare il fatidico e improponibile 43% fino al 35 o 34%, alzando al contempo la fascia di reddito a 75mila euro. In pratica, quello che era applicato prima della diminuzione da cinque a quattro degli scaglioni, che costa 4 miliardi di euro e al momento è finanziata soltanto per un anno.
Il beneficio, secondo una ricerca del CNDCEC secondo cui i benefici ammonterebbero ad una cifra compresa fra 80 a 2mila euro per fasce di reddito da 51 a 75mila euro.
Resta da risolvere l’annosa questione delle coperture, con un costo totale dell’operazione stimato in un miliardo a 180 milioni di euro, con una media di 846 euro per ogni contribuente, al netto di una fascia di reddito massima fissata in 75mila euro. Tornando alle coperture, spicca l’ipotesi di sfruttare la “cooperative complicance” delle grandi aziende, il concordato preventivo biennale delle partite Iva (il cui esito però è incerto e legato al livello di adesione) e utilizzare anche le risorse dalla lotta all’evasione fiscale, che ammonta a circa 31miliardi di euro.
Secondo alcune simulazioni, prendendo in considerazione i redditi fra 51 e 55mila euro il beneficio passa da 80 a 400 euro, mentre per i redditi compresi fra 56 e 60mila euro va da 480 e 800 euro. Da 61 65mila euro sale ad una forbice compresa fra 880 e 1.200 euro, così come tra 66 e 70mila euro raggiunge una cifra compresa fra 1.280 e 1.600 euro. Per concludere con i redditi fra 71 e 75mila euro, che grazie al bonus risparmierebbero tra 1.680 e 2mila euro.
Il 1° gennaio scorso, ha preso il via il primo stop della riforma fiscale, con la conferma del taglio del cuneo del 7% per i redditi fino a 25mila euro e del 6% per quelli fino a 35mila, mentre l’Irpef ha accorpato i primi due scaglioni nell’aliquota unica al 23% per redditi fino a 28mila euro. Una misura che avrà effetto sui redditi medio-bassi ma decisamente nulli per quelli più poveri e medio-alti. Secondo Lilla Cavallari, presidente dell’Ufficio parlamentare di Bilancio, “Oltre la soglia di retribuzione lorda di 35mila euro la perdita dei benefici è di circa 1.100 euro”.
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