La notizia non è proprio di primissima mano, risalendo già ad un paio di settimane fa; ma vale forse la pena ritornarci giacché distanziarsi troppo in fretta da alcune riflessioni favorisce il rischio di alimentare equivoci o – viceversa – di restare troppo in superficie rispetto alla reale sostanza delle questioni.
L’episodio considerato è quello del diciottenne coordinatore del GREST (termine che sta per ‘Gruppo Estivo’ ed indica la relativa variante stagionale dell’oratorio, dedicata ai più piccoli) di una parrocchia del cesenate - nonché educatore all’interno dello stesso – che è stato sospeso dal suo incarico (come si era detto in un primo momento) perché omosessuale.
In verità la vicenda è stata correttamente ricostruita poco dopo l’immediato clamore che ha suscitato, precisandosi che il giovane non è stato scacciato sic et simpliciter: il parroco, dopo essersi consultato con i suoi superiori della Diocesi di Cesena-Sarsina, gli avrebbe riferito la necessità di operare una sorta di ‘scissione dei ruoli’, per cui, ferma restando la possibilità di continuare ad occuparsi del coordinamento dell’attività, non avrebbe potuto tuttavia essere anche un educatore. Per tutta risposta, il ragazzo si è licenziato da ogni incarico e, avendo deciso allo stesso modo – per pura solidarietà – anche l’unico altro maggiorenne operante nel GREST, l’intera attività ha dovuto essere cancellata, con sommo rammarico di tanti genitori della parrocchia, seccati più per l’aver perso un affidabile ‘parcheggio’ dove lasciare i figli dopo la chiusura delle scuole che non dal sabotaggio subito dal giovane.
Tutto è nato dopo ‘una soffiata’ (espressione che non è qui affatto inadeguata, giacché certe dinamiche sono tristemente presenti anche in contesti non malavitosi ed, anzi, improntati ad un puritanesimo talmente eccessivo da far sì che spesso la bigotteria superi il buon senso e tracimi nella delazione) fatta al parroco riguardo alla pubblicazione, sul profilo Instagram del diciottenne, di una foto che lo ritraeva nel mentre si scambiava un bacio con un altro ragazzo.
Un atteggiamento ritenuto evidentemente in contrasto con i valori cristiani ed i precetti cattolici, laddove si tenda ad interpretarli come una condanna generica contro l’omosessualità.
Ma occorre, invece, fare un distinguo, giacché nella morale cattolica è l’atto omosessuale ad essere giudicato contrario all’etica e non la condizione (e dunque la persona) omosessuale in sé. E’ questa l’interpretazione su cui andava orientandosi papa Ratzinger e su cui ha ferma posizione Papa Francesco che, già nel 2013, rispondendo ai giornalisti sul volo di ritorno dal Brasile, aveva detto «Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarla?», con ciò rifacendosi ai canoni del Catechismo della Chiesa cattolica (da un lato il n. 2357, che afferma che «gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati» e che «in nessun caso possono essere approvati»; dall’altro, il n. 2358 che sostiene che le persone omosessuali «devono essere accolte con rispetto, compassione, delicatezza» e che «a loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione»).
Tanto, lo stesso Pontefice, ha nuovamente ribadito - a gennaio scorso - rispondendo ad una lettera di padre James Martin ( il gesuita statunitense che svolge il suo apostolato tra le persone Lgbt.) sottolineato che, secondo la morale cattolica, ogni atto sessuale al di fuori del matrimonio è peccato; ma quando si prende in considerazione un peccato, «bisogna considerare anche le circostanze, che diminuiscono o annullano la colpa», perché «sappiamo bene che la morale cattolica, oltre alla materia, valuta la libertà, l’intenzione», e questo vale «per ogni tipo di peccato». Perciò, come ha aggiunto in una intervista rilasciata alla Associated Press (Ap), «a chi vuole criminalizzare l’omosessualità vorrei dire che si sbaglia» giacché «essere omosessuali non è un crimine».
Ferma restando tale premessa, che di per sé sarebbe idonea a fornire adeguata risposta riguardo ad un giudizio di correttezza sulla vicenda di specie, c’è una ulteriore considerazione dalla quale ritengo che non si possa prescindere. E lo sostengo da cattolica-pressoché-praticante, status che comunque non mi impedisce di conservare una sufficiente obiettività.
Nella risposta data dalla Diocesi di Cesena-Sarsina all’indomani delle inevitabili polemiche che si sono scatenate a seguito della vicenda sopra narrata, si legge: «L’episodio spiace e rattrista (…) Rattrista il clamore mediatico con cui si stanno alimentando opposte fazioni. Il tema è molto delicato e quanto accaduto non riguarda un giudizio sui singoli o una discriminazione sui diritti. Proprio in questi anni e in questi mesi la Chiesa con il Sinodo si interroga su come andare incontro alle persone che si sentono escluse dalla comunità in ragione della loro affettività e sessualità (…) Sul fatto specifico riproposto dalla cronaca odierna, la Diocesi precisa che a nessuno è stata impedita l’organizzazione del Centro estivo. Questione diversa è il mandato educativo chiamato a trasmettere i valori cristiani. (…) La Chiesa di Cesena-Sarsina è una casa aperta e accogliente verso tutti».
Eccolo il nocciolo della questione: ‘il mandato educativo’ che, con tutta evidenza, e nonostante l’espressa dichiarazione contraria, viene invece confuso proprio con ‘la caratteristica’ della persona, come se fosse certo e scontato che una persona gay non possa - necessariamente e imprescindibilmente – che trasmettere ed impartire valori improntati al suo orientamento e, dunque, far deviare dalla ‘normalità’ individui facilmente duttili e influenzabili quali sono i bambini. Proprio ciò che ha chiaramente dichiarato una collaboratrice parrocchiale intervistata in luogo del parroco protagonista della vicenda: “non si può dare ai bimbi di un centro estivo l’input che avere un educatore omosessuale sia la normalità”.
Mi domando cosa sarebbe successo, allora, se la Chiesa di Cesena-Sarsina non fosse stata «una casa aperta e accogliente verso tutti»!