Se la battaglia contro il virus può dirsi ormai (quasi) vinta, ben più complicato sarà per Joe Biden mettere mano a due gangli nervosi dell’America post-Trump: il problema dell’immigrazione e quello della violenza.
Sul primo, ha di fronte un Congresso lacerato dove la compagine repubblicana non gli lascerà vita facile, ma anche il secondo non scherza affatto. Sulla base dei dati più aggiornati di “The Gun Violence Archive”, da gennaio a maggio di quest’anno negli Stati Uniti sono state uccise 8.100 persone, più o meno 54 al giorno. L’aumento degli omicidi nel primo trimestre dell’anno è del 24% rispetto allo scorso anno e addirittura del 49% sul 2019.
L’impennata di vendite di armi da fuoco che i media raccontavano durante la pandemia, nel timore verecondo tipicamente americano di dover metter mano al fucile per difendere i pargoli e il pane quotidiano, dimostra che tutte quelle armi hanno iniziato a sparare. Le città diventate scenario di stragi e sparatorie in pieno giorno ormai sembrano un itinerario turistico: New York, Chicago, Washington, Baltimora, Detroit, Atlanta, Baton Rouge, Memphis, Philadelphia, Minneapolis, Newark. Biden ne ha chiamato a raccolta i sindaci, uno per uno, illustrando un piano che è partito dai dati: il 2020 si è chiuso con 30% in più di omicidi, e l’8% degli assalti armati. È ora di dire basta, lo chiede la gente e lo pretende la Casa Bianca, malgrado sull’argomento incombono due incognite dal peso specifico decisamente alto: il famigerato secondo emendamento, quello sul sacrosanto diritto alle armi da fuoco sancito dai Padri fondatori, e il giro di boa del caso George Floyd, punta dell’iceberg della violenza di cui sono capaci le forze dell’ordine, in sette anni accusate di aver ucciso quasi 8.000 persone, soprattutto di colore.
Biden ha sintetizzato in cinque punti la guerra alle armi facili che spera possa mettere a tacere troppi fucili, liberi di far scorrere troppo sangue. Il primo è mettere in atto controlli più serrati e stringenti sulle vendite, che hanno venditori e negozianti fra i responsabili nel caso prima dio consegnare le armi non si preoccupino di verificare precedenti penali e problemi mentali segnalati dalle autorità sanitarie. Punto due, nuove assunzioni nelle forze di polizia e nuovi poteri alla “DEA” (Drug Enforcement Administration) per indagini e perquisizioni preventive. Troppi sono stati i casi di killer improvvisati che prima di agire hanno disseminato i social di tracce, messaggi e avvisaglie mai raccolte da nessuno.
Al numero tre lo sviluppo di piani di prevenzione sociale e assistenza psicologica sui soggetti potenzialmente a rischio. Nelle aree dove si è tentata la sperimentazione, la violenza è calata del 60% e anche più. Quattro, togliere dalla strada e dalle tentazioni della violenza quanti più giovani sia possibile attraverso attività di supporto e lavori estivi. Ultimo, ma solo in ordine di apparizione, non abbandonare a se stesso chi esce dal carcere, ma aiutarlo a reinserirsi nella vita sociale attraverso consistenti forme di credito d’imposta per i datori di lavoro disposti ad accogliere un ex detenuto.
Il profondo desiderio di mettere a tacere le armi lo dimostra il caso di New York, dove i primissimi risultati delle primarie democratiche danno in netto vantaggio Eric Adams, 60enne afroamericano con un passato da poliziotto che ha promesso il ritorno della “tolleranza zero”, la stessa che aveva reso l’ex sindaco Rudy Giuliani l’unico capace di ripulire fino al torsolo la Grande Mela negli anni Novanta. Ed è significativo che il pieno dei voti, Adam l’abbia fatto proprio a Brooklyn, dove è nato e cresciuto, e nel Bronx, sinonimo di violenza da che mondo è mondo. Il 31,7% su quasi 800mila voti scrutinati significano la matematica certezza che il 2 novembre dovrà vedersela con un avversario repubblicano decisamente attrezzato: Curtis Sliwa, 67 anni, ex fondatore dei “Guardian Angels”.