La Pubblica Amministrazione ha due straordinarie capacità: pretendere quanto dovuto dai propri cittadini in tempi strettissimi, ma allungare i periodi fino allo sfinimento quando invece è costretto a pagare.
Uno studio della Cgia di Mestre, realizzato analizzando i dati della Corte dei Conti, è giunto alla conclusione che buona parte dei 122 miliardi di euro spesi nel 2023 dalla Pubblica Amministrazione fra acquisti, forniture, consumi, spese energetiche, manutenzioni e formazioni del personale, sono tutt’ora in attesa di pagamento, sospesi in un limbo che si aggira sui 50 miliardi di euro all’anno.
Una situazione che va avanti da almeno un lustro, e continua a mettere a repentaglio centinaia di aziende, costrette a chiudere o nella migliore delle ipotesi finite in crisi profondissime da cui uscire è complicato. Una situazione che non è sfuggita a Bruxelles, come ricorda l’associazione veneta: “Con la sentenza pubblicata il 28 gennaio 2020, la Corte di Giustizia UE ha affermato che l’Italia ha violato l’art. 4 della direttiva UE 2011/7 sui tempi di pagamento nelle transazioni commerciali tra amministrazioni pubbliche e imprese private. Sebbene in questi ultimi anni i ritardi medi con cui vengono saldate le fatture in Italia siano in leggero calo, il 9 giugno 2021 la Commissione UE ha avviato nei confronti del nostro Paese una nuova procedura di infrazione, sempre per la violazione della direttiva, in relazione al noleggio di apparecchiature per le intercettazioni telefoniche e ambientali nel quadro delle indagini penali. Il 29 settembre 2022, invece, la Commissione ha aggravato la procedura di infrazione nei confronti dell’Italia e, infine, ad aprile 2023, in relazione a una presunta violazione della Direttiva sui pagamenti a carico del sistema sanitario della regione Calabria, ci ha fatto pervenire una lettera di messa in mora”.
Malgrado l’ITP (Indice di tempestività dei pagamenti), che limita a 30 giorni il ritardo nel saldo (fatta salva una diversa pattuizione), il punto più basso della reticenza ad onorare i propri debiti ha come scenario il sud, e proprio il 2023 resterà agli annali come un anno particolarmente critico.
A Napoli, i fornitori della P.A. più fortunati hanno dovuto attendere una media di 143 giorni sulla scadenza contrattuale, seguiti da quelli di Andria (89,5 giorni), Chieti (+61,8), Reggio Calabria (54,9), Agrigento (53,3) e Isernia (53). Al Nord il quadro si fa leggermente più tranquillo, anche se non dovunque: a fronte dei ritardi di Imperia (+22,11 giorni), Viterbo (19) e Alessandria (24,98), sono molti i comuni che riescono a pagare addirittura prima dei tempi messi nero su bianco nei contratti: fra questi Padova, Grosseto e Pordenone, in anticipo di 21 giorni, con la sorpresa di veder comparire da questa parte della classifica Palermo, capace di onorare i propri debiti verso i fornitori ben 65,5 giorni prima della scadenza.
E se tutto questo riguarda i Comuni, spostando il baricentro sulle Regioni la situazione sembra migliorare, a parte Molise (145,9 giorni di ritardo), Abruzzo (32) e Basilicata (13,66). Stesso discorso per le Aziende ospedaliere e i Ministeri: se le prime dallo scorso anno sono riuscite in massima parte a rispettare l’ITP – lasciando fuori dal discorso l’ASP di Catanzaro (64,5 giorni di ritardo), l’ASL Napoli 3 Sud (27, 78), ASL Foggia (27), e ASL Napoli 2 Nord (15,42) – per i dicasteri la situazione si fa più complicata. Nel 2023, ben 9 ministeri su 15 hanno accumulato forti ritardi nei pagamenti, con il picco peggiore di quello del Turismo (39,72 giorni), e al contrario quello virtuoso del Masaf (Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste), in anticipo di 17 giorni sulla tabella di marcia contrattuale. In mezzo il ritardo di 33,52 giorni del Ministero dell’Interno, che diventano 32,89 per il dicastero dell’Università e della Ricerca Scientifica e scendono a 13,60 per quello della Salute.
Ma se le cose sembrano addirittura migliorare rispetto al passato, si chiede la Cgia di Mestre, per quale motivo i debiti della P.A. non scendono dai 50 miliardi all’anno? “Come ha sottolineato anche la Corte dei Conti in una delle sue ultime relazioni, nelle transazioni commerciali con le aziende private la nostra PA sta adottando una prassi che definire “diabolica” è forse riduttivo: salda le fatture di importo maggiore entro i termini di legge, mantenendo così l’Indicatore di Tempestività dei Pagamenti entro i limiti previsti dalla norma, ma ritarda intenzionalmente il saldo di quelle con importi minori, penalizzando così le imprese fornitrici di prestazioni di beni e servizi con volumi bassi, cioè le piccole imprese”.
Secondo l’ufficio studi dell’associazione veneta, la strada per uscire dal circolo vizioso è una sola: stabilire la compensazione automatica tra i crediti maturati da una impresa nei confronti della PA e i debiti fiscali e contributivi che la stessa deve all’erario. Un meccanismo che risolverebbe di colpo un problema che si trascina da troppo tempo.