21 settembre 2024

Non è un Paese per pensionati

O meglio, il nostro non dovrebbe essere un Paese in cui il numero di pensioni superi quello delle buste paga. Invece sta accadendo: un’analisi della Cgia di Mestre racconta che al Sud l’inversione è già in atto

Autore: Germano Longo
Più pensioni che stipendi. È il paradosso raggiunto dal Mezzogiorno d’Italia, ma che lascia poca speranza anche al resto del Paese, che nel giro di qualche anno (pochissimi), si ritroverà immerso nella stessa situazione.

Il sorpasso, secondo le previsioni della Cgia di Mestre, è previsto entro il 2028, quando ad uscire dal mondo del lavoro per limiti di età saranno 2,9 milioni di italiani, di cui 2,1 al momento lavorano attivamente fra Nord e Centro Italia.

“È evidente, vista la grave crisi demografica in atto, che difficilmente riusciremo a rimpiazzare tutti questi lavoratori che non saranno più tenuti a timbrare il cartellino ogni giorno. Insomma, gli assegni erogati dall’Inps sono destinati a superare le buste paga degli operai e degli impiegati occupati nelle nostre fabbriche e nei nostri uffici anche nelle ripartizioni geografiche del Centro e del Nord”.

Pesa come un macigno la crisi demografica di un Paese in cui l’età media è rappresentata dai 50 anni, un effetto a sua volta legato ad altre cause, che tutte insieme sconsigliano vivamente di fare figli: l’aumento del costo della vita, la precarietà del lavoro, la mancanza di servizi e livelli retributivi insufficienti per mantenere una famiglia.

Secondo l’Istat, dal 1993 in Italia muoiono ogni anno più persone di quante ne nascano e se la rotta non si inverte in tempi brevi, entro il 2070 gli italiani saranno ridotti a 47,2 milioni, 12 in meno di quelli attuali.
“Gli ultimi dati disponibili che ci consentono di effettuare un confronto tra il numero degli addetti e quello delle pensioni erogate agli italiani si riferiscono al 2022. Se allora il numero dei lavoratori dipendenti e degli autonomi sfiorava i 23,1 milioni, gli assegni corrisposti ai pensionati erano poco meno di 22,8 milioni (saldo pari a +327mila) – prosegue il documento della Ciga di Mestre - qualcuno potrebbe legittimamente osservare che rispetto al 2022 le cifre sono cambiate, in particolare quella riferita agli occupati. Obiezione più che condivisibile: il numero degli addetti in Italia è aumentato e in attesa che l’Inps aggiorni le proprie statistiche, è altrettanto ragionevole ritenere che anche il numero delle pensioni corrisposte in quest’ultimo anno e mezzo sia cresciuto, addirittura in misura superiore all’incremento dei lavoratori attivi”.

Scendendo nel dettaglio, Lecce – con una differenza di -97mila – è la provincia in cui la proporzione tra pensionati e lavoratori risulta più squilibrata, seguita Lecce, dove la differenza è -97 mila. Ma non sono da meno Napoli (-92mila), Messina (-87mila), Reggio Calabria (-85mila) e Palermo (-74mila).

“Va segnalato che l’elevato numero di assegni erogati nel Sud e nelle Isole non è ascrivibile all’eccessiva presenza delle pensioni di vecchiaia/anticipate, ma, invece, all’elevata diffusione dei trattamenti sociali o di inabilità. Un risultato preoccupante che dimostra con tutta la sua evidenza gli effetti provocati in questi ultimi decenni da quattro fenomeni strettamente correlati fra di loro: la denatalità, il progressivo invecchiamento della popolazione, un tasso di occupazione molto inferiore alla media UE e la presenza di troppi lavoratori irregolari. La combinazione di questi fattori ha ridotto progressivamente il numero dei contribuenti attivi e, conseguentemente, ingrossato la platea dei percettori di welfare. Un problema che non riguarda solo l’Italia ma attanaglia tutti i principali paesi del mondo occidentale”.

E nei prossimi anni, come accennato, la situazione è destinata a peggiorare, con uno tsunami che travolgerà anche le zone d’Italia più economicamente avanzate. I segnali ci sono tutti e al momento riguardano 11 province settentrionali che registrano un numero di pensioni superiori alle buste paga: Sondrio (-1.000), Gorizia (-2mila), Imperia (-4mila), La Spezia (-6mila), Vercelli (-8mila), Rovigo (-9mila), Savona (-12mila), Biella (-13mila), Alessandria (-13mila), Ferrara (-15mila) e Genova (-20mila). “Tutte le 4 province della Liguria presentano un risultato anticipato dal segno meno, mentre in Piemonte sono tre su otto. Delle 107 province d’Italia monitorate solo 47 presentano un saldo positivo, mentre le uniche realtà territoriali del Mezzogiorno che registrano una differenza con segno più sono Cagliari (+10mila) e Ragusa (+9mila)”. La realtà più virtuosa d’Italia è la Città metropolitana di Milano (+342mila), seguita da Roma (+326mila), Brescia (+107mila), Bergamo (+90mila), Bolzano (+87mila), Verona (+86mila) e Firenze (+77 mila).

“Con tanti pensionati e pochi operai e impiegati, la spesa pubblica non potrà che aumentare, mentre le entrate fiscali sono destinate a scendere e questo trend, nel giro di pochi anni, minerà l’equilibrio dei nostri conti pubblici - conclude Renato Mason, segretario della Cgia di Mestre - per invertire la tendenza dobbiamo aumentare la platea degli occupati, facendo emergere i lavoratori in nero e aumentando i tassi di occupazione di giovani e donne che in Italia continuano a rimanere fra i più bassi d’Europa”.
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