All’Australia, uno dei più grandi esportatori di combustibili fossili al mondo, la “Green Deal” europea non va giù. In particolare, del progetto di protezione ambientale scritto a Bruxelles, Canberra trova particolarmente indigesto il capitolo “CBAM” (Carbon Border Adjustement Mechanism), in pratica un sistema di tassazione che dovrebbe aiutare le industrie europee a non restare intrappolate nella concorrenza straniera durante il processo di decarbonizzazione. Nella pratica una tassa “climatica” da applicare a prodotti in ingresso nei confini UE come acciaio, cemento, ferro e alluminio.
Secondo il ministro del commercio Dan Tehan, l’Australia “guarderà molto da vicino il modo in cui sarà imposta, in vista di qualsiasi potenziale violazione delle regole. L’ultima cosa di cui il mondo ha bisogno ora è l’attuazione di politiche protezionistiche supplementari”.
In realtà, solo il 4% delle esportazioni australiane, rappresentate da ferro, carbone, gas e petrolio (che valgono più di due terzi dell’export), finisce direttamente in Europa, ma la carbon tax, se approvata, potrebbe creare ulteriori costi per le vendite alla Cina e ad altri importanti mercati asiatici.
“L’UE sta imponendo unilateralmente i suoi punti di vista e i suoi modi su altri paesi: una tassa simile è in grado di minare la cooperazione globale sulla riduzione delle emissioni – riprende il ministro Tehan - e non serve per raggiungere i risultati che tutti stiamo cercando. È per questo che cercheremo di discutere ulteriormente con l’Europa nel corso del vertice COP26 di novembre a Glasgow”.
Ma quella dell’Australia rischia di essere una guerra aperta su più fronti: anche Regno Unito e Stati Uniti stanno considerando misure frontaliere sul carbonio per garantire che paesi con obiettivi climatici più deboli non compromettano i loro sforzi di riduzione delle emissioni. Questo perché nonostante la pressione internazionale, l’Australia resta una dei pochi paesi del G20 che non si è ancora impegnato a raggiungere l’obiettivo delle emissioni zero entro il 2050. Il premier Scott Morrison si è limitato ad una generica “speranza” di poterlo fare attraverso investimenti in tecnologie green.
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