25 gennaio 2025

L’Italia terza in classifica per il livello di pressione fiscale

Lo dice il “Revenue statistics 2024”, la classifica dell’Ocse. Nel 2023 era al 42,8% stabile rispetto all’anno precedente ma ben al di sopra della media, pari al 33,9%. A guidare le entrate dello Stato contributi di previdenza sociale, imposte sul reddito e Iva

Autore: Germano Longo
“Pressione fiscale”, ovvero la definizione tecnica per dare un nome a quanto lo Stato chiede ai propri cittadini per far funzionare l’amministrazione pubblica e i servizi sociali. Certo, ci sarebbe da riempire intere biblioteche di esempi sulla sproporzione fra quanto si pretende da ogni singolo italiano rispetto a quel che riceve lo stesso quando tenta di avvicinarsi alla pubblica amministrazione. Ma vabbè, meglio lasciar perdere.

Eppure noi italiani, con il 41,28%, siamo terzi nella “Revenue statistics 2024”, la speciale classifica stilata dall’Ocse, subito dopo Germania e Danimarca – rispettivamente al 43,8% e 43,4% - per il livello raggiunto dalla pressione fiscale. Seguono l’Austria (42,7%), il Belgio (42,6%), la Finlandia (42,4%), la Norvegia (41,4%) e la Svezia (41,4%), tutti al di sopra della media, pari al 33,9%.

Nel 2023, il livello italiano si era stabilizzato al 42,8%, mentre al contrario quello di Paesi come il Lussemburgo era schizzato verso l’alto, con una salita improvvisa del 2,7% che aveva portato l’indice al 40,9%, o ancora del Giappone, uno dei casi più emblematici del mondo, con un aumento esponenziale dell’8,2% concentrato nell’ultimo decennio. Per trovare un dato in discesa bisogna attraversare l’oceano e arrivare in Cile, dove la pressione fiscale è scesa al 20,6 dal 23,8% del 2022, o meglio ancora in Messico, dove si limita ad un invidiabile 17,7%.

Per il resto del planisfero, la media fra i Paesi Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), nel 2023 è rimasta pressoché invariata per via degli interventi che diversi governi hanno messo in atto per compensare il costo della vita, malgrado i pesanti danni causati dai cambiamenti climatici e il processo di invecchiamento della popolazione.

Dai dati del rapporto Ocse emerge con chiarezza che il 2023 è stato un anno cardine per la pressione fiscale, aumentata improvvisamente in 18 dei 36 paesi di cui sono disponibili dati preliminari, mentre è diminuito in altri 17 rimanendo invariato solo in un caso: l’Italia.

Visto più nel dettaglio, l’incedere della pressione fiscale da queste parti è necessaria per garantire i contributi di previdenza sociale, che da soli incidono del 30,5% sul totale delle entrate fiscali. A seguire l’Irpef (25,5%), l’IVA (16,5%) e altre imposte sui consumi (11,2%). Per finire con le imposte sul reddito delle società (6,7%), sulla proprietà (5,7%) e l’insieme delle imposte minori (3,9%). La ripartizione del gettito fiscale maggiore mostra un meccanismo per cui il peso maggiore ricade sulle spalle di lavoratori e consumatori, leggermente meno pesante per le imprese.

Già, ma dove finiscono le entrate fiscali? Pagando, in fondo è lecito saperlo. In linea generale sono distribuite tra i vari livelli della pubblica amministrazione, con l’asso pigliatutto del Governo centrale, che si assicura il 58%, ed un 30,5% destinato ai fondi di previdenza sociale. Quel che resta viene diviso fra il 10,9% destinato alle amministrazioni locali e il 0,6% agli organismi sovranazionali.

Ma sulle previsioni 2024 dell’Ocse, che davano qualche speranza all’Italia grazie agli effetti delle nuove aliquote Irpef previste dalla riforma fiscale, è calato il gelo dei dati Istat, secondo cui lo scorso anno la pressione fiscale sarebbe addirittura aumentata. Questo, tradotto nel concreto, non significa che gli italiani hanno pagato più tasse, ma che la quantità di quelle versate è stata pari a una percentuale più alta del Pil, lo scorso anno cresciuto di poco, tra lo 0,5% e lo 0,8%.

Ma l’aumento della pressione fiscale non è una novità: secondo l’Istat l’incremento ha riguardato tutti gli anni dal 2018 in poi, con il picco del 2020, nel pieno del periodo Covid. E anche Eurostat conferma l’andamento altalenante della pressione fiscale nel nostro Paese: dopo un lieve calo tra il 2014 e il 2018, è arrivato il picco del 2019-2020.
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