L’ha fatto davvero. A riprova che razzi spaziali e automobili avveniristiche non sono gli unici strumenti con i quali pretende di far progredire il mondo.
Elon Musk stavolta ha lanciato una sfida d’impatto più immediato e di ambito (apparentemente) più circoscritto per contribuire al benessere dei suoi simili, biologicamente parlando, s’intende.
L’idea invero risale a qualche anno fa: esattamente nel 2016, Musk, insieme a sette scienziati, ha co-fondato la Neuralink Corp., società di ricerca scientifica che si occupa prevalentemente di impianti cerebrali. L’obiettivo era quello di realizzarne uno attraverso il quale poter interfacciare le funzionalità del cervello umano con quelle di un computer: captare l’attività elettrica dei neuroni e convertirne i segnali in comandi per controllare un dispositivo esterno.
Un connubio, in sostanza, tra intelligenza umana e intelligenza artificiale, finalizzato a sopperire a problemi neurologici e lesioni traumatiche che possano aver compromesso il controllo di alcune funzioni meccaniche del corpo.
L’uso di questo tipo di impianti, infatti, risponde fondamentalmente a esigenze mediche: consentire a individui paraplegici di poter controllare un cursore o una tastiera – e, dunque, imprimere comandi utili ad attivare qualunque dispositivo che sopperisca ai loro deficit – in “modalità wireless”, cioè col solo pensiero.
Gli studi effettuati per la realizzazione del congegno non sono stati immuni da critiche, specie da parte di attivisti difensori dell’Animal Welfare Act americano - la legge che regola i limiti e le modalità con cui i ricercatori possono effettuare esperimenti su alcuni animali - dal momento che il funzionamento dell’impianto è stato dapprima testato proprio su di essi.
Nel maggio scorso, tuttavia, la società ha infine ottenuto il via libera dell’U.S. Food and Drug Administration (l’ente statunitense responsabile, tra l’altro, della protezione della salute pubblica, deputato quindi a garantire la sicurezza, l'efficacia e la protezione dei farmaci umani e veterinari, dei prodotti biologici e dei dispositivi medici) e ha quindi lanciato un appello per la ricerca di volontari – che fossero individui con meno di 40 anni, privati dell’uso degli arti - disposti a farsi impiantare nel cervello il dispositivo (grande all’incirca quanto una moneta) al fine di testarlo.
Lunedì scorso l’intervento è stato dunque eseguito; lo stesso Musk tramite il “suo” canale social, X, lo ha annunciato in maniera sobria ed essenziale, limitandosi a rassicurare che il primo essere umano impiantato da Neuralink “si sta riprendendo bene” e che “i risultati iniziali mostrano un promettente rilevamento dei picchi neuronali”.
Sorvolando sul paradosso che la promozione dell’impianto di un congegno elettronico nel cervello umano provenga proprio da uno dei più convinti assertori della teoria complottista sul vaccino anti-Covid (ritenuto strumento per controllare gli individui “dall’interno” tramite l’inoculazione di un sofisticato microchip), innegabilmente, se visto nell’ottica del vantaggio che l’impiego di un tale dispositivo può rappresentare per migliorare la qualità della vita di individui colpiti da malattie che ne hanno compromesso la mobilità, il giudizio a riguardo non può che essere positivo. Una tale utilità, anzi, varrebbe anche a dissipare possibili dubbi etici.
Ciò che invece allarma è l’incertezza sui possibili sviluppi di questi strumenti, sulle applicazioni future e sulla cautela che è necessario vada mantenuta per impedire che si varchino limiti oltre i quali si rischia di perderne il controllo.
Potrebbe infatti destare preoccupazione l’affermazione che Musk fece durante la prima demo del progetto Neuralink, nel 2019, quando, ipotizzando che presto avrebbero potuto esserci, diffusamente, cliniche dove poter eseguire quel tipo di interventi e, dunque, ibridare uomini e macchine in pochi minuti, ha detto: «Sembrerà piuttosto strano, ma alla fine raggiungeremo la simbiosi con l’intelligenza artificiale».
Una prospettiva che, se per certi versi può affascinare, disegnando una realtà non molto lontana da quelle vaticinata in certi film, per altri intimorisce, giacché le implicazioni non riguardano soltanto il rapporto tra uomo e macchina, ma anche il possibile dominio dell’una sull’altro.
No, stavolta non si tratta del lancio di una nuova auto né dell’azzardo di una missione su un altro pianeta per colonizzarlo, ma di una questione ben più delicata, che certamente merita una riflessione seria e valutazioni più attente ed approfondite rispetto a quelle, superficiali e gioconde, di solito riservate ai capricci di un miliardario.