16 dicembre 2023
IRAN
16 dicembre 2023

La danza della felicità

Autore: Ester Annetta
Sin dall’antichità, la ricerca della felicità ha costituito uno dei temi centrali della riflessione filosofica. Aristotele, Platone, Socrate, Epicuro hanno variamente argomentato la necessità dell’“eudaimonia” e altrettanto diversamente ne hanno individuato la fonte: se per Socrate la felicità consisteva esclusivamente nell'esercizio di conoscenza e quindi di virtù, per Platone essa era invece correlata alla giustizia e, dunque, la felicità del singolo individuo risiedeva nell'armonia dello Stato, a sua volta possibile ove ognuno – secondo giustizia, appunto – avesse svolto il proprio compito. Per Aristotele la felicità era vista come vita secondo ragione, mentre per Epicuro il modo per raggiungere la felicità era allontanare le fonti di angoscia, timore, turbamento ed ansia.

Comune a tutte queste teorizzazioni era comunque l’idea della felicità intesa come soddisfazione individuale.

Più tardi, col diffondersi del Cristianesimo, la felicità è diventata una conquista spirituale, ultraterrena. Ma ancora dopo, con l’Illuminismo, è invece maturata la concezione della felicità intesa come bene collettivo anziché individuale e, dunque, essa ha cominciato ad essere associata alla presenza o meno di condizioni istituzionali e strutturali che, conseguentemente, permettessero ai cittadini di uno Stato di soddisfarla o di non soddisfarla.

Da quel momento in poi, la felicità ha cominciato ad acquisire i contorni di principio politico ed è quindi divenuto compito dello Stato garantire la possibilità a tutti i cittadini di raggiungerla, attraverso la codificazione di diritti e doveri.

Nel Secolo dei Lumi il perseguimento della felicità è assurto al rango di diritto. La Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America del 1776 lo ha declinato esplicitamente: “Noi riteniamo che sono per sé stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità”.

Tuttavia non è accaduto lo stesso per altri Stati (tra cui l’Italia), le cui Costituzioni pur avendo recepito principi fondamentali - vita, libertà, uguaglianza - non vi hanno ricompreso “la ricerca della felicità”, che, dunque, ha ripreso le caratteristiche di “ambizione individuale” e come tale non ha ricevuto alcun esplicito riconoscimento giuridico.

Ma nemmeno alcuna repressione.

Questo almeno è ciò che accade in quegli Stati “civili” dove la dignità umana e i diritti che ne discendono sono comunque rispettati e tutelati, e altrettanto la libertà che – ove non si trasformi in arbitrio - soccorre all’assenza di altri principi non codificati.

Ma basta spostarsi altrove, in quei Paesi “meno civili”, dove le necessità di un riformismo giuridico che affidi allo Stato il compito di garantire diritti e doveri ha ceduto il passo all’autoritarismo di regimi repressivi, che lo scenario muta drasticamente.

Lì basta essere donne per precipitare in fondo alla scala dei diritti e delle garanzie; basta che una ciocca di capelli sfugga alla costrizione di un velo per essere massacrate di botte fino a morire; basta manifestare contro un tale abuso di potere per finire in carcere ed essere torturate. E basta danzare per strada perché quell’innocua manifestazione di allegria e di invito alla felicità si trasformi in una istigazione contraria alla morale.

Sadegh Bagheri, un pescivendolo di 70 anni che vende la sua merce al mercato di Rasht - una città sul Mar Caspio, nella provincia del Gilan, a nord dell'Iran – è stato arrestato per questo.

Tra le bancarelle del mercato, Bagheri ballava e cantava, attirando così l'attenzione dei clienti che spesso finivano per avvolgerglisi attorno, applaudendo al ritmo del canto e unendosi alla sua danza allegra. Molti riprendevano le sue performance e le pubblicavano sui social.

Così è successo che uno di quei video, divenuto virale, ha infastidito la polizia locale che, perciò, la scorsa settimana ha arrestato Bagheri insieme a una dozzina di influencer di Instagram che avevano pubblicato il video, bloccandone gli account e rimuovendone tutti i contenuti. Come se non bastasse, ha chiuso quattro negozi “coinvolti” nel ballo e nei canti.

Il vice comandante della polizia della provincia di Gilan ha dichiarato ai media locali che l’arresto di Bagheri è motivato dal fatto che il video della sua danza circolato sui social ha “contenuto criminale” in quanto ha “violato la morale pubblica” e “infranto le norme”.
Per i fondamentalisti religiosi, infatti, ballare è considerato un comportamento dissoluto e, dunque, inaccettabile, come la maggior parte della musica, specie quella pop perché troppo vivace.

Se già è difficile comprendere come un ricciolo di capelli ribelle possa offendere la morale pubblica, ancor più è incomprensibile quale tipo di minaccia possa rappresentare una danza, quando il suo solo intento sia quello di strappare un sorriso ai passanti, illuminandoli d’allegria e contagiandoli di felicità.

Ed è perciò amaro constatare, ancora una volta, come sia solo una questione di fortuna appartenere a quella fetta di mondo dove essere felici è un diritto, piuttosto che all’altra, dove la felicità è disobbedienza.
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