10 maggio 2024

La direttiva UE sulle Case Green è ufficiale: appuntamento al 2050

Pubblicata sulla G.U. europea, lascia due anni di tempo ai Paesi membri per adeguarsi ad una tabella di marcia prestabilita, e concede un quarto di secolo per mettere a norma qualche milione di edifici e appartamenti altamente inquinanti ed energivori

Autore: Germano Longo
La direttiva sulle “Case Green”, che riguarda le prestazioni energetiche degli edifici, è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale UE: significa che fra 20 giorni esatti la norma entrerà in vigore, ed entro due anni i 27 Paesi membri sono obbligati a recepirla nei rispettivi ordinamenti, predisponendo entro il 29 maggio 2026 un piano nazionale di ristrutturazione degli edifici residenziali e non, pubblici e privati.

Il piano, da trasmettere alla Commissione UE entro il 31 dicembre 2025, dovrà illustrare il parco immobiliare nazionale in modo dettagliato, indicando gli anni di costruzione, le zone climatiche e le attestazioni di prestazioni energetica, la tabella di marcia predisposta per rispettare la data limite del 2050, le politiche e le misure – attuali o previste – una panoramica degli investimenti, delle risorse, le fonti e delle misure del finanziamento. E ancora le soglie di emissioni di gas a effetto serra e del consumo di energia di un edificio a emissioni zero, le norme per gli edifici non residenziali, la traiettoria nazionale per il piano di ristrutturazione e per finire una stima del risparmio energetico e dei benefici che seguiranno al piano di ristrutturazione.

La direttiva, che rientra nel pacchetto di riforme “Fit fo 55”, ha come obiettivo arrivare entro il 2050 ad avere un parco immobiliare a emissioni zero con la riqualificazione del patrimonio edilizio europeo e il miglioramento dell’efficienza energetica. Oltre a interventi mirati, come la messa al bando delle caldaie a gas entro il 1° gennaio 2025, con eliminazione totale di qualsiasi agevolazione o incentivo in favore dell’impulso all’utilizzo di impianti “puliti”, la parte più consistente del pacchetto riguarda la profonda ristrutturazione di almeno una parte degli edifici più inquinanti presenti nei vari Paesi.

In pratica, un quarto di secolo di tempo per adeguarsi diviso in step già fissati: entro il 2030 il consumo energetico medio delle abitazioni dev’essere più basso del 16% rispetto al 2020, per poi raggiungere il 22% in meno cinque anni dopo, entro il 2035.

Al netto delle condizioni specifiche di ciascun appartamento o edificio che sia, “Unimpresa” stima una spesa complessiva pari a 267 miliardi di euro, ovvero circa 35mila euro ad abitazione, partendo dagli interventi minimi come la sostituzione degli infissi e dell’impianto di riscaldamento, più l’inserimento di un capotto termico. Il “Codacons” ipotizza invece un impegno economico compreso tra 35mila e 60mila euro per abitazione, mentre “Scenari Immobiliari” calcola un esborso compreso fra 20mila e 55mila euro. La direttiva impone comunque agli Stati membri di sostenere economicamente i cittadini obbligati a mettere in regola il proprio immobile attraverso sostegni e incentivi diretti soprattutto alle famiglie economicamente vulnerabili, le persone in “condizioni di povertà energetica” o quanti vivono in alloggi di edilizia popolare. E non è escluso che a giocare un ruolo importante siano anche le banche, visto che da più parti si parla di soluzioni come mutui e prestiti “Green”.

Per l’Italia, si calcolano circa 5 milioni di abitazioni ad alto consumo energetico sui 12,5 complessivi, anche se il numero preciso non è chiaro e cambia sulla base della fonte utilizzata. Secondo le stime dalla Commissione UE diffuse lo scorso dicembre, gli edifici da ristrutturare entro il 2033 nel nostro Paese sarebbero tra i 3,1 ed i 3,7 milioni. Un’altra analisi, pubblicata da “Unimpresa”, valuta 12,5 milioni di case, di cui 7,6 milioni (il 61%) classificate nelle classi energetiche peggiori, la F e la G. Va però aggiunto che, rispetto ad una precedente versione del testo della direttiva, la classe di energetica di appartenenza non è più il criterio per stabilire gli edifici da ristrutturare.

A tutto questo vanno comunque aggiunte alcune deroghe che potrebbero far calare il numero di case coinvolte: la direttiva esclude ad esempio gli edifici di carattere storico, le seconde case utilizzate per meno di quattro mesi all’anno, gli edifici provvisori e gli immobili sotto i 50 mq di superficie.
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