Da una parte le PMI, che pagano ogni anno 24,6 miliardi di euro in tasse, dall’altra 25 grandi colossi del web con sede nel nostro Paese, che se la cavano con 206 milioni.
È una di quelle strane geometrie che fanno parte del lungo elenco di figli e figliastri del Fisco italiano, così contorto da non saper mettere un freno a chi non ne ha alcun bisogno di aiuti penalizzando quanti al contrario annaspano alla ricerca di ossigeno.
Il calcolo non è empirico, arriva dall’Ufficio Studi della Cgia di Mestre, che toglie anche la speranza che qualcosa possa migliorare con l’avvento della “Global Minumum Tax”.
Il problema, anzi il trucco, è che i titani della rete sfruttano la pratica - assolutamente legale, per carità – di spostare le parte degli utili ante imposte nei Paesi dove la fiscalità è più vantaggiosa. Il risultato, ammette la Cgia veneta aggiungendo che la comparazione non ha alcun rigore scientifico, è comunque sconsolante: “Se le aziende italiane prese in esame producono un fatturato annuo 90 volte superiore a quello riconducibile alle big tech, in termini di imposte, invece, le prime ne pagano ben 120 volte più delle seconde. Se sui nostri imprenditori grava un tax rate effettivo che sfiora il 50%, sulle big tech lo stesso si attesta al 36%. E sebbene da quest’anno entri in vigore la Global minimum tax (Gmt), secondo il dossier curato dal Servizio Bilancio dello Stato della Camera, il gettito previsto dalla sola applicazione dell’aliquota del 15% sulle multinazionali sarà molto contenuto. Si stima che nel 2025 il nostro erario incasserà 381,3 milioni di euro, nel 2026 427,9 e nel 2027 raggiungerà i 432,5. Nel 2033, ultimo anno in cui nel documento si stimano le entrate, le stesse dovrebbero sfiorare i 500 milioni di euro”.
Come se ancora non bastasse, Spagna e Polonia hanno ottenuto di potersi adeguare alla Gmt a partire dall’anno prossimo, mentre la proroga per Estonia, Lettonia, Lituania, e Malta si spinge fino al 2030: “Appare evidente che per le grandi holding presenti nella UE rimane ancora la possibilità almeno per i prossimi 5/6 anni di spostare parte degli utili in alcuni paesi membri dove la tassazione continua essere molto favorevole”.
Ma attenzione, prosegue la Cgia, perché non sono solo i giganti stranieri del web a sfruttare le fiscalità europee più vantaggiose, perché ormai da anni anche alcuni grandi player italiani hanno scelto di trasferire all’estero la sede fiscale o quella legale, o magari una consociata. Molte si sono dirette nei Paesi Bassi, dove è in vigore una legislazione societaria favorevole che permette sia agli azionisti storici di avere il doppio dei voti in assemblea, consentendo di difendersi da eventuali scalate di investitori stranieri, sia di trattamenti tributari generosi che il governo olandese riserva a ogni big company disposta ad aprire la sede fiscale ad Amsterdam. “Con queste operazioni, formalmente ineccepibili da un punto di vista fiscale-societario, si è però ridotta la base imponibile di coloro che pagano le tasse in Italia, penalizzando le realtà imprenditoriali di piccola e piccolissima dimensione che, a differenza delle grandi aziende, non hanno la possibilità di lasciare armi e bagagli e trasferirsi altrove”.
Come se non bastasse la parte fiscale, le Pmi italiane sono vittima anche del caro consumi. Secondo Confartigianato, nel 2023 hanno pagato l’elettricità il 9,9% in più rispetto alla media UE, per un totale nel biennio 2022-2023 di 11,8 miliardi di maggiori costi rispetto ai competitor europei. E per chiudere il quadretto, è giusto ricordare che la bolletta elettrica delle aziende italiane è tra le più costose d’Europa: stando al rapporto, con un prezzo netto medio di 28,44 centesimi/euro per kWh, l'Italia quinta tra i Paesi dell’UEM (Unione Economica e Monetaria), sborsando il 10,1% in più rispetto alla Francia, il 13,4% della Germania e il 44,4% della Spagna.
“Ora, con una manovra per il 2025 ancora tutta da scrivere – conclude la Cgia di Mestre - visto che recuperare una decina di miliardi di euro di coperture non sarà un’operazione per nulla facile, bisognerebbe chiedere qualche sacrificio aggiuntivo in particolare a chi, in questi ultimi anni, ha registrato profitti straordinariamente elevati, ma ha versato poche tasse, perché ha fatto ricorso a tecniche elusive. Sappiamo che le regole della Gmt sono molto articolate ed è verosimile ritenere che ogni norma di carattere nazionale potrebbe non essere sufficiente a rendere il prelievo fiscale più equo. Nonostante ciò è indispensabile trovare un compromesso che non pregiudichi la fuga di queste aziende dal nostro Paese, ma allo stesso tempo le costringa a pagare il giusto, o quasi”.