A fronte di quasi 25milioni di persone che ogni mattina si alzano e vanno al lavoro, altri tre milioni fanno lo stesso ma senza alcuna tutela e ancora meno certezze. Sono i numeri del lavoro sommerso, una galassia che fa parte dell’universo parallelo di quella che tecnicamente è definita “economia non osservata”, detto in modo ancora più semplice l’insieme delle attività che continuano a sfuggire ai controlli macinando 200 miliardi all’anno in nero.
Un fenomeno che, neanche a dirlo, tocca da vicino gli immigrati, che spesso finiscono per trovare le uniche occasioni per guadagnarsi da vivere onestamente nei settori più vulnerabili, quelli dove i controlli si fanno ma sono mai abbastanza, come agricoltura, edilizia, lavoro domestico e turismo. È lì, secondo un’accurata indagine dell’Inapp (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche) realizzata in collaborazione con la FGB (Fondazione Giacomo Brodolini), che si concentrano i lavoratori senza contratto e le più gravi condizioni di irregolarità.
Presentata a Roma nel corso convegno “Decent work? Segregazione occupazionale e condizioni di lavoro della manodopera immigrata”, l’indagine ha acceso i riflettori su una situazione allarmante di cui si parla solo quando qualcuno ci rimette la vita, ma giusto per il tempo dello sdegno, delle esequie e degli applausi al passaggio del feretro. Un fenomeno che ogni giorno condanna milioni di persone ad un’invisibilità dietro cui si celano casi inumani di sfruttamento che spesso sfiorano la schiavitù.
L’indagine, che è riuscita a coinvolgere più di 2.000 immigrati di 85 Paesi diversi, in massima parte extraeuropei e domiciliati in Italia, aveva come obiettivo lo studio e l’analisi delle condizioni di lavoro di migranti impiegati nei settori dove si concentra il maggior pericolo di rischio di sfruttamento, in particolare concentrati in grandi città come Roma, Milano e Bologna, Napoli e province come Foggia, Ragusa e Treviso, aree dove si addensa una forte presenza di manodopera straniera. Il campione comprendeva sia uomini che donne, anche se con una netta prevalenza dei primi (rispettivamente 1.291 e 730), e di età compresa fra 25 e 34 anni.
DI questi, spiega il rapporto, più della metà – il 51% - attualmente lavora senza alcun tipo di contratto. Ma c’è di più, perché oltre alla piaga del lavoro nero, risulta in forte crescita il fenomeno del “lavoro grigio”, come viene definita una forma di occupazione all’apparenza alla luce del sole, denunciata alle autorità competenti, ma che nella realtà si svolge fra diritti violati e irregolarità diffuse, come parte della retribuzione fuori busta, straordinari oltre i limiti di legge e orari di lavori ben più lunghi di quelli previsti da qualsiasi contratto. Vittime predilette del lavoro grigio chi è occupato fra agricoltura e manutenzione del verde (22,1%), oltre al comparto delle pulizie, diviso tra uffici, alberghi, navi, ristoranti e veicoli (19,3%).
Situazioni di irregolarità amministrative accettate giocoforza dal 29,1% dei lavoratori coinvolti nella ricerca, con una prevalenza maschile (32,7%) rispetto a un’incidenza inferiore per le donne (18,5%). Il risultato sono lavoratori invisibili esposti a rischi di salute e sicurezza: non a caso, l’8% degli interpellati ammette di aver subito almeno un incidente sul lavoro, e di questi solo il 57,6% ha richiesto l’assistenza sanitaria, un po’ per il timore di perdere il lavoro, ma il resto per le difficoltà di accesso al sistema sanitario. Il conto finale è presto detto: una consistente parte di lavoratori extracomunitari non ha alcun tipo di assistenza e sopravvive in condizioni di salute precarie, ma tace per timore di ritorsioni che complicherebbero ancora di più l’esistenza.
Dati sufficienti per comprendere quanto sia sempre più urgente e necessaria una “bonifica” sistematica del mondo del lavoro, in particolare nei settori dove le ingiustizie rappresentano la pura normalità. Secondo Natale Forlani, presidente di Inapp, “L’indagine evidenzia uno spaccato sulla esposizione delle condizioni di sfruttamento che deve essere contrastata con una pluralità di provvedimenti volti a favorire la regolamentazione con il contributo attivo di imprese e rappresentanze sociali nella programmazione dei contratti di lavoro”.