Il ministro delle infrastrutture e dei trasporti Matteo Salvini non ha mai nascosto una personale avversione contro gli autovelox, gli apparecchi di rilevazione della velocità qualche mese fa finiti al centro di accese polemiche e bollati come “macchine da soldi” per i Comuni. Con il sospetto di molti che si tratti di un regalo al popolo degli automobilisti sincronizzato con le prossime elezioni, il ministro è passato dalle parole ai fatti: al grido di “basta con gli autovelox trappola” il decreto è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale trasformando in ufficiale la stretta ai circa 11mila occhi elettronici (il numero è una stima) attivi in Italia.
Per cominciare, gli impianti dovranno essere segnalati in anticipo e rispettare distanze minime in base alla tipologia di strada: un km su quelle extraurbane e almeno 200 metri su quelle a scorrimento veloce, mentre in città la distanza si accorcia a 75 metri. Ma soprattutto, potranno essere installati solo ed esclusivamente se necessari per ridurre possibili incidenti dovuti all’eccesso di velocità, e mai a distanza ravvicinata: “Fra un dispositivo e l’altro dovranno intercorrere distanze minime differenziate in base al tipo di strada”, ovvero 3 km sulle extraurbane e 1 su quelle secondarie.
Ma non basta ancora, perché ogni impianto dovrà essere richiesto dal Comune al Prefetto, dimostrando dati alla mano la necessità di limitare la velocità su tratti di strada in cui statisticamente si verificano più incidenti. Una regola che vale anche per quelli mobili, il cui uso è concesso – a patto di renderli riconoscibili immediatamente e con contestazione immediata - solo nei casi in cui sia tecnicamente impossibile installare un impianto fisso. Per finire con la possibilità del ricorso da parte dell’automobilista.
Secondo il ministero, si tratta di una serie di regole che dovrebbe finalmente mettere ordine in quella che è stata definita “una giungla”, mettendo la parola fine ai Comuni che approfittavano degli impianti per rimpinguare le casse, con derive di cui si sono occupate le cronache come “Fleximan”, il giustiziere notturno che ha abbattuto una decina di autovelox armato di flessibile.
Il decreto mette mano anche ai limiti di velocità, con il divieto di installare impianti autovelox in zone dove i limiti siano già al di sotto dei 50 km/h, mentre fuori dai centri abitati l’uso sarà consentito solo dove il limite è inferiore di 20 km/h rispetto a quello previsto dal Codice della Strada.
Ai Comuni sono concessi 12 mesi per adeguarsi alle nuove norme, dopodiché gli impianti che rispettano le norme saranno disinstallati, anche se fino ad allora le multe restano valide. Secondo Luigi Altamura, comandante dei vigili urbani di Verona e membro del Tavolo di coordinamento delle polizie locali dell’Anci: “Se un Comune sa che quell'autovelox non risponde più alle caratteristiche del decreto sarebbe auspicabile interrompere subito le sanzioni per non porgere il fianco a migliaia di ricorsi”. Già, perché resta da risolvere il nodo sull'omologazione degli autovelox, ignorato dal decreto, dopo che lo scorso aprile una sentenza della Corte di Cassazione ha svelato l’anomala presenza di migliaia di impianti autorizzati del tutto ma privi di omologazione. Secondo il ministro, una lacuna che sarà colmata entro l’estate.
In base ai calcoli pubblicati dal quotidiano “Il Sole24Ore”, le multe per infrazioni al Codice della Strada nel 2023 hanno fruttato 1,5 miliardi di euro, il 6,4% in rispetto all’anno precedente e addirittura il 23,7% del 2019. Fra i comuni che hanno incassato le somme maggiori quelli più piccoli, con meno di 10mila abitanti, che da soli hanno raggiunto i 238,6 milioni di euro complessivi.
Fra i tanti commenti a caldo quello Enzina Fasano, presidente della Consulta cittadina per la Sicurezza stradale di Roma: “L’atteggiamento del governo ci lascia perplessi: sembra che si voglia strizzare l’occhio a chi le regole le infrange. Noi proponiamo i 30 all’ora in città perché ci sono evidenze scientifiche che a quella velocità, in caso di impatto con un veicolo, un pedone ha 9 possibilità su 10 di salvarsi. E poi è sbagliato limitare l’autonomia dei sindaci sul tema, perché sono loro che hanno la percezione delle zone pericolose sul territorio”.
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