Alla faccia di chi ne pronosticava le esequie, lo “smart working” resiste e lotta con noi. È una realtà svelata dall’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, che conferma quanto già si sapeva fin dai tempi del lockdown: la modalità di lavoro agile piace ed è sempre più apprezzata dai lavoratori, tanto del pubblico quanto del privato. Segue, secondo l’Osservatorio, un’altra conferma: l’impatto estremamente positivo sull’attività, il clima e l’habitat aziendale, che oltre a migliorare l’umore dei dipendenti consente alle imprese risparmi sui costi legati agli spazi fisici.
Insomma, malgrado lo stop annunciato a tutte le misure, il lavoro da remoto resiste, mostrando numeri che denunciano una ferrea e invidiabile stabilità: quest’anno continuano a usufruirne 3,55 milioni di lavoratori rispetto ai 3,58 del 2023, con uno scarto quasi impercettibile del -0,8%. Anzi, a dirla tutta lo smart working cresce nelle grandi imprese, dove sfiora quasi quota due milioni, mentre cala nelle Pmi, dove da 570mila lavoratori dello scorso anno è sceso a 520mila, e resta stabile sia nelle microimprese, assestato su quota 620mila lavoratori, sia nella Pubblica Amministrazione, che dal canto suo oscilla intorno ai 500mila dipendenti lontani dall’ufficio.
E le previsioni per il prossimo anno non sono meno rosee, addirittura contrassegnate da una crescita del +5% che significa raggiungere quota 3,75 milioni grazie al +35% delle grandi imprese, dal 23% delle P.A. e dal 9% delle Pmi. Mediamente, a chi in Italia usufruisce della modalità smart working sono concessi 9 giorni al mese lontani dall’ufficio nelle grandi imprese, che scendono a 7 nella P.A. e a 6,6 nelle Pmi. In compenso, il 73% dei lavoratori si dichiara pronto a battersi di fronte alla minaccia di abolirlo, con un 27% disposto perfino a cambiare posto di lavoro e il 46% che invece tenterebbe di far cambiare idea al datore. L’unica strada percorribile per abolirlo, sempre secondo la ricerca, sarebbe quella di aumentare la flessibilità oraria o meglio ancora lo stipendio, ma almeno del 20%. Per concludere l’infilata dei numeri con chi ha deciso di tornare alla presenza fissa in ufficio: il 19% perché la necessità di lavorare da remoto è ormai cessata o perché sentiva la mancanza di socializzare con i colleghi, mentre il 23% a causa di nuovi ruoli, del tutto incompatibili con il lavoro da remoto, a fronte di 58% costretto giocoforza alla rinuncia dalle decisioni prese dall’azienda.
Ma anche l’universo del lavoro da remoto si evolve, aprendo le porte ad una nuova formula, definita “International Mobile Work”, adottata finora dal 29% delle grandi imprese che in questo modo sfruttano l’opportunità di accedere ad un bacino di talenti e professionisti anche se distanti a livello geografico, o ancora come benefit da proporre a chi accetta di spostarsi all’estero.
A conclusione dell’analisi, l’Osservatorio del Politecnico di Milano ha assegnato gli “Smart Working Award 2024”, premio annuale riservato ad aziende e imprese che si sono distinte per capacità di innovare le modalità di lavoro. A vincere il premio principale è stata “Carrefour Italia”, che dopo la pandemia ha trasformato lo smart working una modalità di lavoro ordinaria per il personale di sede, con almeno un giorno a settimana in ufficio e la libertà di scegliere da dove lavorare nei restanti grazie anche ad una dotazione tecnica sufficiente per creare un “home office”.
Tra le P.A. svetta l’Inps, che dal 2019 ha lavorato per affinare il lavoro agile fino ad arrivare all’attuale gestione digitale, con il dipendente libero di scegliere fra una pianificazione mensile o settimanale indicando anche le fasce orarie di contattabilità e quelle di disconnessione. “Vaillant” è invece risultata la prima tra le Pmi grazie al progetto “Space Planning & Smart Working” con cui ha introdotto un modello di lavoro agile riprogettando gli spazi della sede di Milano: sono previsti fino a tre giorni di smart working a settimana, con l’obbligo che uno sia sempre il venerdì, giorno in cui la sede è chiusa.