2 settembre 2022

Lo stallo delle economie occidentali

Autore: Rachele Pozzato
Anche ad agosto l’inflazione in Europa continua a salire, segnando un nuovo record: il 9,1% è infatti la percentuale più alta raggiunta da quando esiste la moneta unica, ben superiore ai livelli di guardia. Una direttissima conseguenza di prezzi tanto gonfiati è certamente l’aumento del costo del gas, al centro dei dibattiti internazionali e nazionali in tutto l’Occidente, e che proprio in questi giorni rimbalza tra i 250 e i 300 euro al megawattora: dieci volte tanto i prezzi di norma, prima della crisi russa.

Un aumento dei prezzi di cui si sente sempre più parlare nelle economie occidentali, che fino a poco tempo fa combattevano invece il fenomeno opposto di deflazione dei costi. Una riduzione, cioè, dei prezzi, associata comunemente a una flessione di attività economica e occupazione, tipica degli anni di crisi degli ultimi anni.

Un’inflazione, quella che caratterizza l’Eurozona in questi ultimi mesi, che ha superato il 4% anche escludendo dalle percentuali energia, alimentari e tabacchi. Inflazione “core”, che colpisce peraltro proprio in un momento di arresto delle economie avanzate, facendo lievitare timori per crescite rallentate, se non in stallo, da cui potrà potenzialmente essere molto complicato uscire. Quelle di queste settimane sono infatti percentuali che segnano quasi il doppio degli obiettivi messi in conto dalla Bce, che potrebbero spingere la banca centrale a mettere l’acceleratore sul rialzo dei tassi. Una politica finora prudente, con tassi che rimangono comunque allo 0,5% e criticata da chi ha intrapreso processi più decisi come la Germania, che ha applicato ai tassi un rialzo, invece, fino al 2,25-2,5%. Un’accusa, nemmeno troppo velata, alla banca centrale di non sostenere sufficientemente il valore dell’euro, da luglio ormai in parità col dollaro, col rischio di assorbire anche l’inflazione dall’estero.

L’azzardo di manovre come queste, però, rimane quello dell’aumento anche del costo per rifinanziare il debito pubblico. Un problema specialmente per i Paesi con un alto debito pubblico, come l’Italia. Il debito pubblico italiano si aggira quest’anno intorno al 153% del Pil, contro il 69% di quello tedesco, per esempio. Il Paese si ritrova così in balia di mercati e Spread, che continua a salire, aprendo guadagni facili agli speculatori. Se il costo dell’energia dovesse mantenersi a questi livelli ancora per qualche tempo, come prevedibile valutando panorami e scenari internazionali, il rischio per i mesi autunnali di quest’anno contempla persino il razionamento, oltre a quello che riguarda il debito, con un margine di manovra per aiutare famiglie e imprese in difficoltà dai confini sempre più stretti.

Una dimensione sulla quale, proprio per questo, la politica si sta concentrando: dalle ultime misure varate all’esecutivo per contenere i consumi, senza dimenticare però i buoni livelli di stoccaggio raggiunti, tra i più alti dell’Eurozona.
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