12 giugno 2021

Mi fido di te

La réclame di una nota casa di gioielleria coniò anni fa il motto “un diamante è per sempre”, entrato poi nel linguaggio comune e trasformatosi nella parafrasi tuttora più impiegata per sottolineare – a volte anche ironicamente – una connotazione dal carattere imperituro.
Il motto si adatta anche ad un argomento che torna d’attualità ogni anno con l’approssimarsi della bella stagione, prestandosi, anzi, ad essere ulteriormente parafrasato in: “un cane è per tutte le stagioni, Estate compresa”.

Quando, poco più di un anno fa, il Covid ci costrinse a chiuderci dentro casa imponendo un rigido lockdown, per molti adottare un animale domestico (un cane, specialmente) apparve un valido rimedio all’isolamento ed alla solitudine. Canili e gattili iniziarono progressivamente a svuotarsi, grazie ad una consistente richiesta di adozioni; per tanti la pandemia divenne la molla per compiere un passo tante volte rimandato per timore dell’impegno e delle cure che gestire un cucciolo avrebbe comportato; per altri, meno nobilmente, l’adozione di un cane – in particolare - rappresentò il lasciapassare per poter usufruire del privilegio della passeggiata almeno tre volte al giorno, pur se attorno al confinato perimetro del proprio palazzo.

E’ accaduto più o meno dappertutto, nel mondo; ma, volendo badare specificamente ai “panni di casa”, l’ultimo Rapporto Italia Eurispes ha rilevato che “mai come nell’ultimo anno gli animali domestici hanno arricchito le giornate degli italiani e in una realtà che non avremmo mai immaginato prima di poter vivere, sono stati i nostri animali domestici che hanno davvero fatto la differenza”; nel 2020, l’Ente nazionale protezione animali ha trovato una casa a oltre 80 animali domestici al giorno, per un totale di 29.630, di cui 17.815 cani e 11.815 gatti. Attualmente il 40,2% degli italiani ha uno o più animali in casa.

Fin qui tutto bene, se non fosse che passata la costrizione dell’isolamento molti sono stati gli animali la cui compagnia è stata ritenuta non più necessaria e che sono stati riportati ai canili/rifugi di provenienza, quasi fossero pacchi rimandati al mittente con la comoda formula del reso, allo stesso modo che per le vendite online, che, nel medesimo periodo di lockdown, pure hanno imperversato.

Le motivazioni sono state le più varie: dalla paura (del tutto infondata) che gli animali potessero essere veicoli di contagio, alla noia subentrata per quel “gioco” divenuto improvvisamente non più interessante, fino ad arrivare alla questione economica: con una spesa mensile stimata tra i 30 ed i 100 Euro molti sono stati coloro che – o perché avevano perso il lavoro o avevano altrimenti visto ridotte le proprie entrate - hanno concluso di non potersi più permettere di mantenere un amico a quattro zampe.

Poco male, in fondo, ove il compagno non più gradito sia stato almeno riconsegnato in strutture deputate a prendersene cura. Senz’altro ingiustificabile è invece la condotta di chi, senza troppi scrupoli, se n’è disfatto abbandonandolo, che è quanto si sta nuovamente registrando pure quest’anno, ora che la bella stagione è arrivata, con un’incidenza pari a quella dello scorso anno e molto maggiore rispetto agli anni precedenti.

Il risultato è un aumento del randagismo e il sovraffollamento dei canili sanitari e dei canili rifugio1, ma anche quello degli incidenti causati dagli animali vaganti, specie quelli abbandonati sul ciglio di un’autostrada.

Confesso di non aver mai amato particolarmente gli animali domestici sebbene, mio malgrado, abbondantemente dopo passato il lockdown, mi sia ritrovata ad ospitare in casa, a distanza di alcuni mesi l’uno dall’altro, un gatto ed un cane.
Benché l’impegno (sia fisico che economico) e la fatica che richiedono siano davvero considerevoli e continui a rimanere dell’idea che, autonomamente, non avrei mai fatto la scelta della loro compagnia, sono ormai diventati parte della mia quotidianità e punti d’affezione che mai mi sentirei di tradire.

Occorre una completa consapevolezza nello scegliere di accogliere in casa un qualunque animale, ma diventa poi un fatto di coscienza continuare a prendersene cura anche quando si svelano gli ostacoli, le limitazioni e i condizionamenti - inizialmente sottovalutati - legati alla loro presenza.
E occorre saper accettare e mettere in pratica quelle regole di “convivenza responsabile” che garantiscono il benessere degli animali e consentono ai loro “padroni” di superare l’idea del “possesso” per passare a quella di una autentica “relazione” col proprio ospite a quattro zampe.
E’ anche questo un segno di civiltà, diverso certo, ma non per questo meno rilevante di quelli che la nostra capacità d’accoglienza sollecita in altri contesti.
Un cane non sarà mai in grado di pronunciare un grazie, ma di segni equivalenti e di riconoscenza sarà invece capace di mostrarne forse più d’un essere umano.
Guai, allora, a tradirne la fiducia: non illudiamoci che sia un peccato veniale.

_________________________________________________________
1A tal proposito va segnalato che è solo a partire dal 1991, con la Legge Quadro 281/91 in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo che è stata adottata tale differenziazione. Prima d’allora esistevano i soli canili sanitari con la funzione di prevenzione della rabbia. I cani randagi vi venivano portati e tenuti in osservazione per dieci giorni, il tempo necessario per le manifestazioni sintomatiche dell’infezione; dopodiché, se nessuno li avesse reclamati o adottati, venivano soppressi. La legge citata ha disposto il divieto di soppressione dei cani e gatti liberi e ha introdotto il modello di canile rifugio, che è quello in cui – decorso il periodo di osservazione presso il canile sanitario – vengono tradotti gli animali vaganti. I canili sanitari sono strutture pubbliche “di prima accoglienza” (per usare un’espressione che evoca altre, drammatiche, situazioni), le cui prestazioni medico-veterinarie sono garantite dai Servizi Veterinari delle ASL di competenza territoriale. Se non reclamati o adottati entro 60 giorni, gli animali vengono sterilizzati prima di essere trasferiti nel canile rifugio. Questi ultimi sono invece strutture che possono essere sia pubbliche che private; quelli pubblici possono essere affidati dai Comuni a dei gestori mediante gare d’appalto che, svolgendosi perlopiù al ribasso, finiscono per conferire al servizio finale reso caratteristiche qualitativamente davvero minime, a discapito del benessere degli animali ospiti.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
Iscriviti alla newsletter
Fiscal Focus Today

Rimani aggiornato!

Iscriviti gratuitamente alla nostra newsletter, e ricevi quotidianamente le notizie che la redazione ha preparato per te.

Per favore, inserisci un indirizzo email valido
Per proseguire è necessario accettare la privacy policy