Non è un segreto che l’Italia sia nel pieno della ripresa economica e lavorativa, tuttavia oltre un terzo dei nuovi contratti firmati tra gennaio e giugno del 2021, è costituito da part-time. Uno scenario che coinvolge prevalentemente le donne, tant’è che oltre il 50% dei loro contratti è formato da poche ore settimanali. Quello che viene definito il “miracolo economico” è semplicemente un ritorno alla normalità, in cui l’occupazione è precaria e gli stipendi sono al di sotto della media europea. A pagarne le spese sono, soprattutto, le donne e tra l’altro, il dato allarmante è che si corre il rischio di raggiungere dei tassi ancora più elevati di quelli pre-pandemia.
Tale dato emerge dall’ultimo
policy brief divulgato dall’Inapp, ossia l’istituto di ricerca che analizza l’impatto delle riforme sociali sul mercato del lavoro. Nel dettaglio, nel primo semestre dell’anno corrente, sono stati attivati 3.322.634 rapporti di lavoro, dai quali si evince la prima differenza di genere: 2.006.617 riguardano gli uomini mentre solo 1.316.017 le donne. Se si scende nel particolare, tale divario risulta ancora più evidente, infatti su un milione e 187 mila, il 35,7% sono part-time.
Per gli uomini, il tempo ridotto ha un’incidenza del 26,6% invece per le donne è pari al 49,6%. Spesso si tratta di tempo parziale involontario ossia non richiesto dalla lavoratrice ma imposto dal datore di lavoro. Una condizione del genere è correlata al precariato, basti pensare che per il 42% delle donne, il contratto firmato è part-time e a tempo determinato. Tra coloro assunte con un contratto a tempo indeterminato, solo il 45,5% ha firmato per un lavoro full-time.
In merito il presidente dell’Inapp, Sebastiano Fadda, sottolinea che la ripresa dell’occupazione in Italia potrebbe non essere strutturale in quanto ci si concentra troppo sulla riduzione dei costi attraverso la diminuzione delle ore lavorative. Inoltre, non nasconde il timore che potrebbe verificarsi un aumento del lavoro povero.
Il part-time ha preso piede con la ripresa avvenuta in seguito alla recessione nel 2008. Nel 2017, per la prima volta dopo la ripresa, il numero di occupati è ritornato ai livelli pre-crisi, un risultato accolto con entusiasmo dal governo Gentiloni e attribuito da Renzi al Jobs Act. Tuttavia, se consideriamo le ore lavorate, emerge che sono ancora inferiori di due miliardi, rispetto a quelle del 2008. Perciò, è vero che i posti di lavoro sono ritornati gli stessi ma la produzione e i guadagni sono inferiori. I posti di lavoro sono aumentati, soprattutto, nei servizi. Gli stessi, diversamente dall’industria, presentano dei tassi di part-time superiori, soprattutto nel settore alberghiero e della ristorazione. Tra il 2015 e il 2018, infatti, si è verificato un aumento non solo dell’occupazione ma anche della povertà assoluta.
In riferimento al 2021, l’Inapp indica che i contratti di lavoro prevalente per le donne, superano l’incidenza del 50%, nei seguenti comparti:
- agricoltura;
- commercio;
- attività immobiliari, professionali e artistiche;
- pubblica amministrazione;
- istruzione;
- sanità;
- assistenza.
Alla luce di ciò, la crescita dei contratti part-time potrebbe aumentare, in virtù del fatto che questa tipologia di contratto agevola degli sgravi fiscali per le imprese che assumono.
Nel 2021, i rapporti di lavoro nati con incentivi sono circa 780 mila, di cui quasi 334 mila prevedono il part-time. Come di consueto, la situazione gioca a sfavore delle donne, il 60% delle assunzioni con bonus è part-time rispetto al 32,5% degli uomini.
Fadda propone di riflettere su un ruolo migliorativo e selettivo del sistema degli incentivi. La legge di Bilancio approvata dal Consiglio dei ministri, però, sembra non rispecchiare tale proposta, tant’è che sono stati introdotti dei bonus per le imprese che assumeranno a tempo indeterminato coloro che fruiscono del Reddito di cittadinanza.