Anche se il termine inglese “Gender Pay Gap”, è molto più fine, la sostanza non cambia: il divario retributivo fra uomini e donne resta uno dei tanti problemi irrisolti della società.
E giusto per aggiornare il distacco, la società di consulenza “ODM Consulting HR”, parte del “GI Group Holding”, ha appena diffuso un’indagine che conferma un trend di cui tutti parlano, ma nessuno (o pochi), fa qualcosa per superarlo.
Un esempio? Nei primi nove mesi del 2023 gli stipendi sono cresciuti del 3,7% rispetto all’anno precedente, quando nello stesso periodo si erano fermati al 2,8%, ma in compenso l’indice di Gender Pay Gap resta stabile al 10,7%.
Dopo una riduzione fra il 2017 ed il 2019 conclusa nel periodo pandemico, una nuova fotografia che conferma i dati Eurostat, con un tasso di occupazione femminile tra 15 e 64 anni pari al 51,1%, ben al di sotto della media UE del 64,9%, mentre per l’Italia migliora drammaticamente il tasso di inattività femminile, che in Europa si assesta al 30% e nel nostro Paese sale al 43,6%. E lo scenario si fa perfino più scuro, se si pensa che a incidere fortemente su quest’ultimo aspetto è la presenza di figli. Al contrario, tra le donne che partecipano al mondo del lavoro è alta l’incidenza del part time (33,3% donne e 8,6% uomini) e la velocità di inserimento delle donne è di molto inferiore rispetto a quella degli uomini.
Ad incidere sulla retribuzione base sono il settore di appartenenza, la dimensione aziendale e l’area territoriale, con un’incidenza maggiore di quest’ultima (-11,5%) al Sud e nelle isole, anche se la frammentazione si fa ancora più marcata a livello settoriale, con lo scostamento medio maggiore registrato nel settore della Finanza (+15%) e del commercio (+4%).
Qualche piccolo segnale di speranza la ricerca lo ammette, ad esempio la presenza di donne nei CDA, cresciuta fino a quota 43%, ma in compenso meno di 5% delle donne che arrivano nelle stanze che contano ha ruoli esecutivi e soltanto il 2% è riuscita a infrangere il celebre “soffitto di cristallo” conquistando il ruolo di amministratore delegato. “Dati che fanno riflettere, soprattutto se letti con altri relativi alla presenza delle donne nel mercato del lavoro - commenta Miriam Quarti, Senior Consultant e Responsabile dell’area Reward&Engagement di ODM Consulting – più di una lavoratrice su quattro risulta sovra-istruita rispetto al proprio impiego e, sebbene si laureino con voti maggiori e in percentuale più elevata rispetto agli uomini, le donne sono meno presenti in ruoli apicali o direttivi.
Guardando proprio a questi ruoli, però, quando le donne arrivano a ricoprire tali posizioni, non si osservano differenze tra i loro pacchetti retributivi e quelli dei colleghi uomini”.
Problemi che si propone di superare la Certificazione della Parità di Genere, l’attestazione a cadenza triennale che le società possono richiedere volontariamente e assegnata a fronte di reali dati che dimostrino il superamento della disparità di trattamento retributivo e le concrete possibilità di carriera della componente femminile in azienda.
Rimanendo fermi sui numeri, in Italia il divario retributivo di genere varia da 3.000 a 13mila euro all’anno in base all’inquadramento. In pratica: a parità di ruolo, anzianità e mansioni, un operaio lo scorso anno ha percepito 26.400 euro lordi contro i 25.600 di una collega donna. Idem fra i dirigenti, con un divario del 12,9% che scende al 5,9% soltanto a livello quadri.
Ma non è detta l'ultima parola: grazie a una recente indagine ODM Consulting condotta su campione di piccole, medie e grandi aziende italiane, ad emergere è la consapevolezza della necessità di dotarsi di politiche di diversity inclusion & equity: oltre il 60% delle aziende (soprattutto quelle grandi) le ha già strutturate o sta considerando di farlo, facendo schizzare il tema nella top 3 delle tipologie di diversità su cui si sta maggiormente intervenendo a livello aziendale, con età e disabilità.
Numeri e dati confermati anche da un’altra ricerca, questa volta del “Centro Studi Enti Locali” e basata sui numeri della Ragioneria dello Stato del 2021, da cui emerge che malgrado nella pubblica amministrazione la presenza femminile sia pari al 56%, ovvero la maggioranza della forza lavoro, solo il 38% delle donne riveste ruoli apicali.