Il graduale allentamento della stretta monetaria delle banche centrali inizia a rilasciare i propri effetti benefici: chi ha stipulato un mutuo a tasso fisso sta assistendo da un paio di mesi ad un calo delle percentuali da versare mensilmente. Un piccolo spiraglio di ottimismo per coloro che nell’ultimo anno e mezzo hanno assistito inermi al salasso della rata mensile, salita in modo esponenziale dal meno dell’1% del gennaio 2022 al quasi 5% registrato alla metà dello scorso dicembre.
I segnali positivi ci sono tutti: sulla necessaria e inevitabile sforbiciata allo storico picco del 4,5% tenuto strenuamente fermo dalla BCE per decisione della presidente Christine Lagarde, sono pronti a scommettere i mercati, certi che entro la prossima primavera il costo del denaro calerà anche grazie alla vistosa frenata dell’inflazione. Secondo alcuni analisti, a partire dalla seconda metà dell’anno il taglio dovrebbe essere su 25 punti base, seguito con buona probabilità da un altro in prossimità dell’estate dello 0,5%, riportando il livello europeo dei tassi al 3,50%.
I primi indizi arrivano dal parametro di calcolo dei mutui fissi, l’IRS (Interest Rate Swap), in costante diminuzione, confortati anche dai segnali arrivano dai mutui fissi stipulati a dicembre per la prima casa, che assicuravano un risparmio di una quarantina di euro mensili a fronte di 200mila euro di prestito da restituire in 30 anni: all’apparenza una manciata di denaro in meno, ma che spalmati sulla durata del prestito significa 24mila euro risparmiati. Non esattamente una bazzecola.
Il risultato è una situazione al limite del paradosso, sconcertante tanto per i titolari di mutuo quanto per gli esperti bancari, spaesati da una realtà anomala che racconta di un tasso fisso a 30 anni arrivato a costare 150 centesimi in meno di uno variabile, quando l’impegno di restituire il denaro in tempi più lunghi è per forza di cose più rischioso rispetto ai prestiti brevi. Una situazione che però potrebbe ribaltarsi presto grazie al calo dei tassi d’interesse fra l’1 e l’1,5% che dovrebbero caratterizzare il 2024, riportando il tasso variabile ad essere più conveniente di quello fisso.
Ma c’è anche chi la vede in modo diverso, ricordando che malgrado la pausa del costo del denaro deciso dalle banche centrali, la strategia di riduzione dell’inflazione non è ancora terminata.
Come scegliere il mutuo - La prima riflessione necessaria è sul tipo di mutuo, fisso o variabile, con un tasso annuo nominale (TAN) che nel primo caso dipende dall’IRS, mentre nel secondo è legato all’Euribor, a cui in entrambi i casi va comunque aggiunto lo Spread. Sommando il TAN alle spese di istruttoria e perizia si arriva al TAEG (tasso annuo effettivo globale), ovvero la cifra da guardare con più attenzione: più il TAEG è basso, più il mutuo diventa conveniente.
La seconda riflessione riguarda la durata, ricordando sempre che le banche arrivano ad erogare mutui con rata massima pari al 33% delle entrate mensili di chi li richiede, per non intaccare la soglia di sopravvivenza familiare, e il massimo finanziabile è l’80% del prezzo di acquisto, escluse spese e costi notarili.
Storicamente, il tasso variabile è più basso del fisso ma anche il più rischioso perché soggetto a sbalzi repentini dovuti a crisi improvvise o problemi di natura geopolitica che, come si sa, hanno un effetto domino sull’economia globale.
Tradotto nella pratica, chi oggi ha sulle spalle un mutuo a tasso fisso non ha motivo di temere i sobbalzi dell’IRS grazie ad un tasso inamovibile, ma la situazione diventa ben diversa per il mutuo a tasso variabile, la cui rata è ridefinita ogni mese sommando lo Spread al tasso Euribor: quando quest’ultimo cresce, la rata inevitabilmente sale, anche se secondo il “piano di ammortamento alla francese” (detto anche a rata costante), con il tasso di interesse applicato solo al capitale residuo, chi è già avanti nel mutuo avverte meno gli effetti della crescita dell’Euribor.
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