Lo sappiamo: gli italiani sono da sempre sul podio dei popoli più risparmiatori. Mettono via parte dei propri soldini il 76,7% dei nostri connazionali, nel dettaglio il 77,3% di chi vive nel Nord-Ovest, il 77,3% al Nord-Est, il 77,2% al Centro e il 75,7% fra Sud e Isole.
Ma secondo i dati “Infostat” della Banca d’Italia, elaborati dal “Sole 24 Ore”, il risparmio sta cambiando pelle. Lo scorso anno, per la prima volta nella storia di questo Paese, gli italiani hanno scelto di utilizzare le risorse accumulate dalle attività finanziarie piuttosto che aggiungere altro denaro. Per chi ama le cifre si parla di 17 miliardi di euro disinvestiti per far fronte a spese di varia natura, acquistare un’abitazione o semplicemente per tentare nuove forme di investimento come le criptovalute che - come confermato da un’indagine dell’Autorità di vigilanza sui mercati - tra il 2022 ed il 2024 ha visto crescere i portafogli dall’8 al 18%.
Un curioso cambio di paradigma che ha come motivo scatenante i poco allettanti tassi di interesse raggiunti da mutui e prestiti, soluzione che fra il 2016 ed il 2022 rappresentava la metà delle soluzioni adottate in una compravendita immobiliare, scesa al 40% a partire dallo scorso anno.
In compenso, a salire è la quota di risparmio ferma sui conti correnti degli italiani, che ha raggiunto il 25,6% se messo a paragone con il 2018, anche se in realtà il potere d’acquisto si è ridotto a +7,1%. Anche in questo caso c’è una spiegazione, rappresentata dal ritorno in grande stile dei BTP, saliti al 20% nella lista delle preferenze dei nostri connazionali, a fronte di un -2% dei depositi bancari, in sofferenza dopo aver assistito fra il 2020 ed il 2021 all’arrivo di capitali freschi per un totale di 170 miliardi di euro. Un trend che nel 2023 ha invertito la marcia, con più di 60 miliardi prelevati.
Di fatto, investire nei titoli di Stato è diventato un trend che ha permesso di compensare gli oltre 150 miliardi persi dagli investimenti dopo la crisi dei debiti sovrani scattata partire dal 2010: lo scorso anno, l’ingresso di 90 miliardi, aggiunti ai 55 del 2022, ha permesso di parare il colpo meglio di quanto siano riusciti a fare i fondi comuni e i prodotti previdenziali e assicurativi, con disinvestimenti complessivi che hanno raggiunto i 30 miliardi.
Tuttavia, una caratteristica di questi anni, comune in tutta l’Europa, è la grande concentrazione della ricchezza. Secondo i dati della Banca d’Italia, il 50% più povero della popolazione italiana – quello che può contare al massimo su una proprietà immobiliare - ha in mano meno dell’8% della ricchezza netta, contro il 5% della Francia e il 2 della Germania, dove invece la ricchezza complessiva oscilla rispettivamente fra il 41 ed il 48%. Per dirla in modo ancora più chiaro, il 5% delle famiglie italiane più abbienti possiede oltre il 46% della ricchezza totale, e questo senza ovviamente contare i capitali messi da parte dai grandi evasori.
“In 68 province delle 103 monitorate i conti correnti delle famiglie chiudono in calo rispetto al 2018, sempre ragionando a prezzi costanti: qui l’impatto dell’inflazione ha eroso il potere d’acquisto, e l’effetto più evidente si rileva ad Alessandria (-10,2%), Rimini (-11%) e Macerata (-14,4%) – riporta il quotidiano di Confindustria - ci sono province come Bolzano, Brescia e Sondrio in cui la ricchezza complessiva delle famiglie (titoli a custodia più depositi) è aumentata, anche in modo marcato, rispetto al 2018: in 41 province su 103 l’aumento supera il trend medio nazionale. Osservando i soli conti correnti, spiccano Ragusa, Trieste, Gorizia, Udine, e altre province pugliesi come Lecce e Brindisi, che chiudono il periodo esaminato con una crescita della liquidità in banca: 13 province registrano un incremento superiore al 3%, anche a prezzi costanti”.