L’era dei social e delle nuove professioni che possono svolgersi sfruttando il pubblico della rete impone di considerare ed aprire una riflessione in merito al trattamento fiscale e previdenziale applicabile e, non per ultimo, alla scelta del corretto codice Ateco.
I nuovi professionisti digitali spaziano infatti dall’operare come “social media manager” a “content creator/influencer” oppure ancora come videomaker/photographer: la loro attività si basa essenzialmente sulla produzione di contenuti video/audio che possono essere fruiti sulle piattaforme social, accompagnati da scrittura di testi per blog o post per social media, ma anche di progetti di contenuti che rispondono ad uno specifico piano editoriale. Spesso è inclusa nella loro attività la sponsorizzazione di specifici prodotti e servizi (contrassegnati dalla sigla ADV - advertising) o la fruizione di eventi ed esperienze, che vengono loro offerti a titolo gratuito dalle aziende sponsorizzanti, con l’obiettivo di pubblicizzare fra i “followers” un determinato prodotto commerciale.
Le piattaforme più utilizzate possono essere varie: Instagram, TikTok, YouTube, Twitch, ma anche Spotify e, non per ultima Wish Tender, dedicata alla pubblicazione di contenuti espliciti a pagamento.
Innanzitutto in sede di apertura della Partita Iva, si rende necessario identificare il corretto codice attività dentro cui “incasellare” lo svolgimento dell’attività professionale. Potrebbe essere ad esempio il 73.11.02 (“Conduzione di campagne di marketing”) oppure il 74.20.19 (“Altre attività di riprese fotografiche”), oppure il 74.20.12 (“Attività di riprese aeree nel campo della fotografia” – ad esempio per i video a contenuto paesaggistico o di sponsorizzazione di luoghi e mete da viaggio). Per chi invece possiede già una propria partita IVA professionalmente identificata con un ben specifico codice Ateco (ad es. psicologici, medici, cuochi), non si rinviene necessario identificare un ulteriore codice Ateco: le attività di sponsorizzazione prodotti e creazione contenuti potrebbero ben rientrare come accessorie a quelle principali.
Dal punto di vista del regime fiscale da adottare, l’accesso al regime forfettario previsto per le partite IVA che svolgono attività di impresa, arte o professione è consentito a chi nell’anno precedente non abbia conseguito ricavi o percepito compensi, ragguagliati ad anno, non superiori a 85.000 euro.
Ai fini contributivi, non essendoci una cassa di previdenza a loro espressamente riservata – in quanto non facenti parte di un esplicito ordine professionale – si prevede l’scrizione alla Gestione Separata INPS con una aliquota pari a circa il 26%.
Le questioni aperte da dirimere sulle nuove professioni digitali sono almeno due: la tassazione delle regalìe (le c.d. “Adv”) e il nomadismo digitale (o remote work), ai fini della residenza fiscale.
Su quest’ultimo punto, occorre ancora considerare che, avendo essi stessi bisogno solamente di un computer e di una connessione in rete, nulla vieterebbe loro di poter produrre, registrare e rendere disponibile al pubblico video e contenuti online prodotti in qualsiasi parte del mondo, senza garantire necessariamente la presenza “fisica” nel paese di residenza, in linea con quella che è la definizione di “nomadismo digitale”.
Al contrario di molti altri lavori “classici” – ad esempio il lavoro dipendente - per i quali il datore di lavoro, accorda generalmente qualche giorno di smartworking a settimana o al mese (di fatto disincentivando lo spostamento fisico in altro Paese comunitario o estero) i nomadi digitali possono spostarsi liberamente su tutto il territorio mondiale.
Si pone qui il problema della residenza ai fini fiscali del reddito prodotto. Per la nuova definizione, fornita dal recente D.lgs. 27/12/2023 n.290, si ricorre all’art. 43 del Codice Civile che definisce la residenza il luogo di dimora abituale per la maggior parte del periodo di imposta. E se questo requisito non ci fosse, previa dimostrazione, occorrerebbe tassare il reddito in ciascun paese di domicilio? Si ricorrerebbe alle convenzioni contro le doppie imposizioni?
Altra questione da dirimere è il come assoggettare a tassazione le advertising ovvero le regalìe e le sponsorizzazioni ricevute dai professionisti digitali a titolo gratuito: tralasciando il trattamento IVA, ben contenuto nell’art.2, co.2 del DPR 633/72, ai fini delle imposte dirette occorre rifarsi agli art.57 e 85 del Tuir ai fini della quantificazione, valorizzare e determinazione del “ricavo implicito” - altrimenti detto valore normale - dei benefits ricevuti dai lavoratori autonomi e dagli imprenditori individuali : così come infatti le imprese sponsor sostengono costi deducibili ex art.108, co.2 , il professionista digitale dovrebbe assoggettare a tassazione il valore dei beni ricevuti o delle esperienze godute. Trattasi infatti di beni in natura che, ai sensi dell’art.85 lettera g) costituiscono contributi valutabili sulla base del valore normale.
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