Si lamenta spesso che in Italia si fanno troppe leggi, un vero e proprio ginepraio in cui si finisce talvolta per perdersi. Eppure, si scopre che ne manca sempre una nel momento in cui se ne necessita.
Questo potrebbe pensarsi di fronte alla vicenda delle mamme “illegittime”, esplosa a Padova dopo che la Procura ha impugnato i 33 atti di nascita di figli di coppie omogenitoriali trascritti dal Sindaco della città a partire dal 2017, rendendo evidente l’esistenza di un vuoto normativo che, paradossalmente, è servito da sponda alla decisione.
Tutto è nato quando, lo scorso marzo, il Ministro dell’Interno ha emanato una circolare diretta ai Prefetti con la quale, interpretando una sentenza della Cassazione (la n.38162 del dicembre 2022, che ha stabilito per i bambini nati all’estero con maternità surrogata possono essere riconosciuti in Italia come figli solo attraverso l’iter dell’adozione -che passa attraverso l’approvazione di un giudice - non bastando semplicemente l’atto amministrativo della trascrizione diretta all’anagrafe) ha evidenziato il fermo della Suprema Corte alle trascrizioni dei certificati dei figli di due padri nati all’estero con maternità surrogata, sollecitandoli di conseguenza a “fare analoga comunicazione ai Sigg.ri Sindaci, al fine di assicurare una puntuale ed uniforme osservanza degli indirizzi giurisprudenziali espressi dalle Sezioni Unite negli adempimenti dei competenti uffici”.
A seguito di interpelli pervenuti dalle stesse Prefetture volte ad ottenere ulteriori chiarimenti, il Ministero pare abbia poi precisato che “alla luce del divieto per le coppie composte da soggetti dello stesso sesso di accedere a tecniche di procreazione medicalmente assistita (che, com’è noto, in Italia è ammessa soltanto per le coppie eterosessuali, ndr) il solo genitore che abbia un legame biologico con il nato può essere menzionato nell’atto di nascita che viene formato in Italia”.
Da ciò l’evidente confusione, giacché si è finito per estendere un orientamento (perché non si dimentichi, tra l’altro, che è di questo che si tratta, giacché per il nostro diritto non esiste – a differenza dei Paesi del Common Law - il principio del precedente vincolante, ma soltanto l'obbligo di motivare le ragioni della sentenza) espresso dalla Cassazione riguardo alla maternità surrogata (che, di per sé, non è ammessa in Italia, a prescindere che a farla siano coppie etero o omosessuali) oltre il suo perimetro, coinvolgendo – anzi, “sconvolgendo” – anche le coppie formate da due donne che, come una coppia eterosessuale, abbiano fatto ricorso alla fecondazione eterologa (cosa ben diversa) evidentemente per tenere il figlio per sé, non per darlo ad altri.
La questione è infatti un’altra: da quando, nel 2014, la Corte costituzionale ha fatto decadere il relativo divieto, in Italia la fecondazione eterologa è consentita per le sole coppie eterosessuali, mentre il divieto permane per quelle omosessuali. Tuttavia, non c’è alcuna previsione normativa che disciplini come vadano trattati i casi in cui una coppia dello stesso sesso si sia sottoposta all’estero ad un percorso di procreazione medicalmente assistita e sia poi tornata in Italia con un bambino. Un vuoto normativo, questo, che non può comunque dar luogo ad un trattamento discriminatorio. Ed è chiaro che qui la maternità surrogata (sui cui risvolti morali si renderebbe peraltro necessaria una trattazione ben più ampia, e non è questa la sede) non c’entra affatto.
Tuttavia, al di là delle questioni politiche, delle falle normative e delle forzature interpretative giurisprudenziali che vengono in ballo in questa vicenda, ritengo che ci siano delle primarie ragioni di buon senso che, a volte, dovrebbero prevalere su tutto e fornire una chiave risolutiva forse irrituale da un punto di vista formale ma necessaria da quello umano.
Ai bambini che saranno vittime di una decisione che li trasformerà, di colpo, in figli di una sola madre, non sarà stato soltanto sottratto qualcosa – un genitore, un cognome, un’identità, una tutela legale, dei diritti direttamente discendenti dalla parentela – ma sarà anche stato aggiunto qualcos’altro: un trauma, profondo e decisamente non sottovalutabile.
Verrebbe allora da domandarsi se sia giusto che degli innocenti paghino le conseguenze dell’assenza – si badi bene! - di una normativa specifica, non della sua disapplicazione o violazione, giacché è di questo che si tratta.
E, allora, in un Paese malsanamente avvezzo da sempre a condonare ogni cosa- dagli abusi edilizi all’evasione fiscale – una volta tanto e in attesa che intervenga una specifica norma, ci si potrebbe aspettare un’ulteriore sanatoria che, peraltro, gioverebbe stavolta non alle tasche ma alla dignità delle persone.