Prospettive di crescita per lo Smart working per le grandi aziende, a seguire (anche se in percentuali minori) Pubblica Amministrazione e Piccole e Medie Imprese. Questo è quanto emerge dall’Osservatorio sul lavoro da remoto fatto dalla school of management del Politecnico di Milano.
Ma da cosa dipende la crescita prevista? Il Politecnico mette in primo piano la possibilità (considerati i tempi attuali) di risparmiare sui costi sia per le aziende che per i lavoratori. Difatti, le prime hanno un risparmio pari a circa 500 euro l’anno per ogni postazione, i secondi, invece, risparmiano all’incirca 600 euro, considerati i costi di trasporto e quelli delle bollette.
Dalla lettura del comunicato stampa inerente all’Osservatorio si legge che i lavoratori da remoto oggi sono circa 3,6 milioni, quasi 500 mila in meno rispetto al 2021, con un calo in particolare nella PA e nelle PMI, mentre, si rileva una leggera ma costante crescita nelle grandi imprese che, con 1,84 milioni di lavoratori, contano circa metà degli smart worker complessivi. Dunque, per il prossimo anno si prevede un lieve aumento fino a 3,63 milioni, grazie al consolidamento dei modelli di Smart working nelle grandi imprese e a un’ipotesi di un incremento normativo.
Dal punto di vista normativo, si ricorda che Renato Brunetta, ex Ministro della Pubblica amministrazione, aveva posto una stretta al lavoro da remoto negli uffici statali e, che l’attuale Legge di Bilancio 2023, approvata proprio oggi in Senato, ha prolungato fino a marzo 2023 la possibilità di lavorare da remoto soltanto per i lavoratori fragili escludendo dal beneficio i genitori con figli minori di 14 anni, ai quali, rimane la discrezione del proprio datore di lavoro.
A lasciare un grosso segno sono proprio le gradi imprese che decidono senza alcun dubbio di aumentare ai propri dipendenti le ore in cui quest’ultimi potranno svolgere la prestazione lavorativa dalla propria abitazione. Infatti, nelle grandi imprese questa modalità di lavoro è presente nel 91%, mediamente con 9,5 giorni di lavoro da remoto al mese e progetti che quasi sempre agiscono su tutte le leve che caratterizzano questo modello. Una tendenza opposta si riscontra nelle PMI, ove lo Smart working è passato dal 53% al 48% delle realtà, in media per circa 4,5 giorni al mese. La ragione è da ricercarsi, probabilmente, nella cultura organizzativa percettrice dello Smart working come una soluzione emergenziale, privilegiando il controllo della presenza.
L’effetto pandemico, per non dire “l’obbligatorietà” a svolgere il proprio lavoro da casa, ha condotto le organizzazioni alla ristrutturazione degli ambienti lavorativi, modificandoli al fine di renderli motivanti a produrre di più per chi li occupa.
Ma lo Smart working è davvero benefico? Ad oggi i dubbi permangono. Molti lavoratori ritengono sia più produttivo per il raggiungimento degli obiettivi prefissati e per la possibilità di conciliare maggiormente lavoro e vita familiare nella gestione dei figli, altri, invece, preferiscono il contatto umano con i colleghi in ufficio ritenendolo più stimolante e produttivo.
Non a caso, il Politecnico delinea che la sola possibilità di lavorare da remoto, se non accompagnata da un’opportuna revisione del modello organizzativo, non dà benefici ai lavoratori in termini di benessere ed engagement.
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