21 giugno 2021

Smart working, non è tutta una vittoria

Orari prolungati ad elastico, postazioni casalinghe spesso non idonee a troppe ore davanti ad uno schermo e mancanza di socialità possono avere costi sociali elevati

Autore: Redazione Fiscal Focus
Si fa presto a dire “smart working”, la soluzione del telelavoro adottata in tempi di pandemia come unica alternativa possibile. Lo “EU-Osha”, un recente studio realizzato dall’Agenzia Europea sulla sicurezza del lavoro, ha analizzato uno per uno i rischi e per la salute e la sicurezza, oltre a testimoniare alcuni nuovi accordi raggiunti tra sindacati e aziende in diversi Paesi europei.

Con il merito, o la colpa, di aver quasi azzerato l’effetto del pendolarismo, lo smart working dimostra un netto vantaggio produttivo fra chi lavora da casa e chi invece è costretto in ufficio, ma ha reso ancora più evidenti gli atteggiamenti di “mobbing”, con diversi casi di esclusione da parte dei “capi”, che con un solo pulsante virtuale possono escludere o accettare i dipendenti ad una riunione. Secondo il report si tratta di un atteggiamento molto spesso difensivo, che costringe i manager a fidarsi dei colleghi distanti fisicamente senza la possibilità di avere la supervisione del loro lavoro. Un’autonomia che rischia di mettere la loro posizione in discussione, scatenando reazioni spiacevoli.

Ma il rapporto non si limita a questo, analizzando anche i rischi per la salute le sicurezza delle postazioni casalinghe, spesso ricavate alla meno peggio sfruttando pezzi d’arredamento che non nascono con quello scopo. L’affaticamento della vista e i dolori alle articolazioni sono le conseguenze più comuni, alcune delle quali potenzialmente pericolose se protratte a lungo andare. Per tacere dei rischi psicosociali derivanti dall’essere immobilizzati a casa, lontano dai colleghi, persone con cui erano normali rapporti di socialità che favoriscono il gruppo. Corre un sottile pericoloso confine tra la vita domestica e quella professionale, un tempo divise nettamente e oggi unite per necessità. Diversi anche gli esempi di soggetti in preda all’ansia, che denunciano carichi di lavoro superiori a prima, orari spesso prolungati rispetto a quelli ordinari e perfino stati di nervosismo indotti da problemi di connessione che finiscono per trasformarsi in sensi di colpa.

Per questo, secondo il rapporto, la responsabilità dei dipendenti che lavorano da casa dovrebbe ricadere comunque sul datore di lavoro, a cui assegnare il diritto-dovere di verificare gli ambienti per valutare che tutte le regole e le norme siano applicate. E sancisce anche per i lavoratori il sacrosanto diritto al “burnout”, la disconnessione che significa il periodo di irreperibilità, quello spazio personale di privacy che le nuove tecnologie, a cominciare dai cellulari, hanno di fatto annullato.

Il rapporto conclude invitando a considerare i danni provocati dal lockdown in un’opportunità per riorganizzare i processi lavorativi sfruttando al meglio lo smart working senza che vada a scapito della salute psico-fisica dei dipendenti.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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