Abbiamo sentito spesso, ultimamente, parlare della settimana lavorativa corta, ovvero lavorare 4 giorni su 7 con la stessa retribuzione, passando così da 40 ore settimanali a 36. È infatti nella proposta di aggiornamento del Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec), da poco inviata a Bruxelles, ma dovrà essere approvata entro giugno 2024.
Smart working e settimana lavorativa corta per accelerare la transizione verde, sono queste le iniziative principali proposte dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, contenute nelle 445 pagine inviate alla Commissione europea. Ma non solo, tra le altre misure in programma, anche l’efficientamento degli edifici pubblici, incentivi per le ristrutturazioni delle case, e in primis il cambiamento comportamentale per ridurre la domanda di energia e incrementare l’utilizzo dei servizi pubblici.
È evidente che l’esecutivo sta cercando delle soluzioni per rispettare gli obiettivi fissati dal regolamento Ue 2023/857 (Effort Sharing o ESR), che prevedono una riduzione delle emissioni di CO2 del 43,7% rispetto ai livelli del 2005 nei settori dei trasporti, residenziale, terziario, una parte dell’industria, rifiuti e agricoltura. Bisogna capire come intenderà ora mettere in pratica queste proposte, considerando che solo qualche giorno fa, a inizio luglio, è stata presa una decisione contrastante, ovvero la proroga dello smart working solo per i lavoratori fragili e per chi ha figli minori di 14 anni.
La settimana corta: vantaggi e svantaggi - Ma vediamo insieme i vantaggi e gli svantaggi della settimana corta. In Italia ci sono già delle sperimentazioni di questa soluzione lavorativa.
I vantaggi sono legati alla migliore conciliazione tra casa e lavoro, è evidente che il sollievo è soprattutto per chi ha figli oppure persone fragili con sé. Ma anche per tutti gli altri, perché avere più tempo libero significa benessere mentale e fisico, tempo in più per le relazioni che, in un circolo virtuoso, rende più soddisfatti e produttivi anche sul posto di lavoro. E consente, persino, è stato provato, di ricorrere meno ai medici, che si sa: i giorni di malattia sono sempre un grande costo per le aziende.
Tra i vantaggi maggiori della settimana lavorativa di 4 giorni c’è, come anticipato, il consumo ridotto di energia e di risorse nell’ufficio stesso e negli spostamenti per raggiungerlo, e di conseguenza dell’impatto ambientale dell’attività produttiva. E su questo punta il governo. Insomma, settimana corta significa inquinare di meno e vivere più felici.
Dall’altro lato, ci sono anche alcuni aspetti critici sull’adozione della settimana corta. La riduzione del numero di giorni lavorativi potrebbe portare a un aumento del carico di lavoro in quei giorni in cui si lavora. Questo potrebbe essere stressante per i lavoratori.
Inoltre, non tutte le attività hanno esigenze tecniche e produttive compatibili con una settimana corta. Ad esempio, le aziende che necessitano di orari di lavoro continuativi potrebbero trovare difficile ristrutturare le loro attività in una settimana lavorativa più breve. Non a caso, secondo l’Eurostat, il 9,4% dei lavoratori totali (circa 2 milioni) lavora più delle classiche 40 ore settimanali, arriva infatti a superare le 49 ore a settimana. Il dato italiano è tra i più alti d'Europa: ci superano i lavoratori francesi con il 10,2%. Ma il top si raggiunge in Grecia: 12,6%. Mentre in Romania il dato precipita al 2,2%, in Bulgaria allo 0,7%.
Settimana corta: per chi? - In Italia è un argomento molto dibattuto, sono soprattutto le piccole imprese che offrono servizi continuativi a trovare difficile adottare la settimana corta, mentre le organizzazioni più grandi potrebbero rivedere il quadro organizzativo per coprire tutti gli spazi necessari. Ad ogni modo, la fattibilità della settimana corta dal punto di vista della regolazione del lavoro è problematica. Il rapporto di lavoro in Italia si basa infatti sullo scambio tra il numero di ore e la retribuzione. Una eventuale riduzione delle ore lavorative distribuite su quattro giorni andrebbe in una direzione diversa rispetto all’attuale assetto di diritto del lavoro. Bisognerebbe trovare il modo di garantire che lo stipendio non diminuisca. L’auspicio di tanti è che un fenomeno del genere potrebbe portare a nuovi occupati e all’inserimento nel mondo del lavoro di alcune categorie che oggi fanno più fatica a trovare spazio nelle aziende.
Aziende che sperimentano la settimana corta - Ad ogni modo nel mondo delle grandi imprese in Italia solo due gruppi al momento (Intesa e Lavazza) che stanno sperimentando questa soluzione, su base volontaria, nata dalla necessità di riorganizzare il lavoro durante il periodo della pandemia prima, e quella del risparmio energetico poi, dopo con l'aggressione russa in Ucraina.
Praticamente entrambe le aziende hanno introdotto appunto la settimana corta di 4 giorni da 9 ore lavorative (36 ore in tutto) a parità di retribuzione, su base volontaria e compatibilmente con le esigenze tecniche e produttive.
Le realtà più piccole, come abbiamo detto, fanno più fatica a riorganizzare il lavoro utilizzando la settimana corta, ma ad esempio alla UniAbita, la maggiore cooperativa italiana di abitanti che fa parte di Legacoop e ha circa 50 addetti, in prevalenza donne, sono riusciti insieme ai sindacati a sperimentare nuove organizzazioni del lavoro per conciliare meglio vita e lavoro, a parità di stipendio, ma anche a parità di servizio.
La nuova organizzazione prevede una sperimentazione di una distribuzione diversa dell’orario di lavoro che garantisce orari di apertura più lunghi e consente ai lavoratori di lavorare 4 giorni anziché 5. Tutto a parità di stipendio. La settimana corta di UniAbita consiste infatti nella riduzione di un giorno della settimana lavorativa ma recuperando ore nei giorni in cui si lavora, allungando l’orario giornaliero fino alle 19 e nella pausa pranzo. Con un duplice obiettivo: da un lato potenziare i servizi ai soci che potranno accedervi anche in pausa pranzo e per un orario più lungo e dall’altro migliorare il benessere lavorativo dei dipendenti e la conciliazione famiglia/lavoro.
In Europa e in altri paesi si guarda con grande interesse alla settimana corta, una soluzione al sistema lavorativo tradizionale che può migliorare le condizioni dei lavoratori e i risultati aziendali. Sulla settimana corta si sono già accordati la Spagna e il Belgio e nei paesi scandinavi è ormai una realtà assodata.
L’esperimento più grande del mondo sull’argomento è stato effettuato invece nel Regno Unito: 2.900 dipendenti di 61 aziende hanno testato per sei mesi la settimana lavorativa di quattro giorni. In pratica, è stato confermato il cento per cento dello stipendio ai dipendenti che però hanno lavorato l’80 per cento delle ore previste (di solito 32) e hanno raggiunto gli stessi risultati che avrebbero conseguito lavorando cinque giorni a settimana. Finito l’esperimento la maggior parte delle aziende che ha partecipato alla sperimentazione ha deciso di voler proseguire (ben 56) e in 18 casi l'esperimento è diventato pratica permanente. Introdurre la settimana lavorativa di quattro giorni in tutto il Regno Unito porterebbe a un calo delle emissioni di CO2 pari a 127 milioni di tonnellate all’anno entro il 2025. L’equivalente di togliere dalla circolazione le auto private dell’intero Paese.
Abbiamo visto che chi sperimenta ha risultati di buon auspicio, probabilmente la difficoltà più grande è trovare imprenditori che abbiano voglia di innovare i modelli organizzativi e passare dalla cultura del controllo a quella della fiducia nei propri collaboratori.