Il titolo stavolta mi è venuto facile, suggerito da quella sequela di critiche cadute addosso a Zerocalcare – al secolo Michele Rech – all’indomani dell’uscita su Netflix della sua serie “Strappare lungo i bordi”.
“Troppo romana” è stata giudicata, con riferimento non al contesto d’ambientazione ma al lessico impiegato, che, evidentemente, non è andato a genio a quanti si collocano oltre i confini laziali, andando verso nord.
Come che sia, a neanche una settimana dalla sua uscita, la serie si è trovata in testa alla classifica delle preferenze del pubblico di Netflix, superando perfino la famigerata concorrente coreana Squid Game.
C’entrerà forse una punta di invidia? Il malcelato risentimento verso un primato – forse inatteso – che ha sbaragliato le aspettative d’altri aspiranti?
L’ho vista tutta (sei episodi di venti minuti ciascuno), percorrendone l’intera parabola, dai picchi ironici davvero esilaranti ai declivi in cui si adagiano pacate riflessioni su una quotidianità in cui tutti, più o meno, possono identificarsi o trovare qualcosa di sé. Il tutto rimanendo fedele ad un registro linguistico molto “casareccio” – romanesco, appunto - anzi, sfruttando proprio il colore, la sonorità e l’efficacia che certe espressioni gergali sono capaci di ottenere più e meglio dei composti eruditi.
Non solo mi è andata a genio ma – e mi piace il gioco di parole – l’ho trovata anche geniale, assolutamente in linea con lo stile dell’autore che da sempre si distingue proprio per la sua genuinità, per la sua aderenza ad un contesto e ad una tipologia di soggetti non artefatti ma autentici, del tutto rispondenti al personaggio tipo di un ambiente di periferia che è, poi, il proprio.
Il racconto, proseguendo sulla scia degli episodi di “Rebibbia Quarantine” che Zerocalcare aveva proposto a Propaganda Live su La7 durante il lockdown - ricalca le vicende del protagonista – che, com’è noto, altro non è che lo stesso autore –, la sua attualità vista anche attraverso la lente di episodi dell’infanzia (cui ricorre con l’artifizio del flashback) che su di essa hanno avuto una qualche ripercussione. Accanto a lui gli amici di sempre - Sarah e Secco - nonché l’immancabile armadillo-coscienza che parla con la voce di Valerio Mastrandrea. La linea di collegamento della storia e dei suoi intrecci col passato è un viaggio, che non è solo quello fisico che i tre amici compiono insieme verso una ben precisa destinazione, ma anche quello che passa attraverso le loro interiorità, le rispettive vite, evidenziandone le insicurezze, le difficoltà, i problemi esistenziali nonché la diversa maniera con cui ciascuno di loro reagisce, creando talvolta una variante che lo discosta da quella linea tratteggiata che segna il percorso assegnato ad ogni esistenza e che va strappata seguendone la direzione, lungo i bordi, appunto.
L’amicizia, legame indissolubile, fa da sfondo e da collante all’intera narrazione.
A questa intimità, a questo legame con i luoghi e le persone del proprio contesto e del proprio vissuto non poteva che adattarsi un lessico altrettanto familiare, quello che lo stesso autore ha definito la propria “confort zone”, e che l’uso d’un diverso registro linguistico non avrebbe portato alla stessa resa.
Ma poi, c’è davvero da discuterne? Come lo stesso Zerocalcare ha scritto sui suoi social replicando alla polemica sorta a riguardo (e mantenendo ovviamente la stessa coerenza linguistica): “Madonna regà ma come ve va de ingarellavve su sta cosa!”, che vuol dire, pressappoco: “ne vale davvero la pena di perdere tempo su questo argomento?”.
Concordo, tanto più che a tentare l’esperimento dialettale (che a dire il vero per Zerocalcare è la regola di sempre) l’autore non è stato certo il primo: da Alberto Sordi a Gigi Proietti, fino a Verdone – a sua volta protagonista di un’altra serie che, quasi contemporaneamente a questa, sta andando in onda su Prime video – la romanità non è sempre stata impiegata come veicolo di comicità più schietta ed immediata? È allora forse una questione di nomi e di fama? Perché invece non riconoscere ed apprezzare la ventata di freschezza e originalità, con cui questa serie ha svecchiato schemi ormai stantii, poco aderenti al vissuto ed al modo di essere delle nuove generazioni, linguaggio compreso?
Del resto anche la serie Gomorra ha mantenuto inalterato il lessico che meglio si confaceva alle vicende ed al contesto narrato e Squid Game è stato trasmesso senza alcun doppiaggio.
E, ancora, si sta assistendo, in questi ultimi tempi, al continuo sbocciare di nuovi talenti della musica – rapper perlopiù – che cantano canzoni con testi napoletani (aumentando la difficoltà di ascolto e di interpretazione, resi già di per sé complicati dalla velocità di pronuncia) o che si adeguano a rigorose cadenze nordiche anche quando provengono dal più profondo dei meridioni d’Italia, solo per rispondere ai dettami delle tendenze.
C’è pure dell’altro: un’ulteriore critica – ma di diversa natura stavolta - è stata mossa al fumettista romano nientemeno che dalla Turchia, dove pare che a Erdogan non sia piaciuta la bandiera del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (il Pkk, in lotta da 40anni per ottenere l’indipendenza del loro territorio dalla Turchia) che compare in alcune scene della serie (sulla porta della camera di Zero e sul muro di un bar). Anche questa una scelta consapevole e coerente con le idee de personaggio-autore, che già aveva espresso il suo sostegno alle lotte del Pkk nei suoi fumetti, come Kobane Calling, dove aveva raccontato la sua esperienza del 2015 al confine tra la Turchia e la Siria, a pochi chilometri dalla città assediata di Kobane.
Sapientemente l’autore si è astenuto dal replicare alle tante polemiche, consapevole che altrimenti avrebbe contribuito ad alimentarle.
E c’è da credere, ragionevolmente, che non sposterà d’un millimetro le proprie posizioni e nulla di quanto accaduto lo porterà a cambiare le sue collaudate impostazioni: quell’indipendenza, che lo rende così schietto ed originale per stile e personalità, e quel linguaggio – appunto -, così vero, che dà voce al vivere d’ogni giorno, così distante da modelli preconfezionati e da lessici puri ed omologati.
Anzi è possibile che, con l’indifferenza che ha cucito addosso al personaggio del Secco, possa come lui replicare: "A me nun me frega ‘n c…..o, s'annamo a pija er gelato?"