Dovuta da chiunque possieda a qualsiasi titolo o per qualsiasi finalità locali o aree suscettibili di produrre rifiuti urbani, la TARI – che vanta il titolo di tassa fra le più odiate d’Italia - è in realtà un’imposta comunale finalizzata a finanziare ciò per cui si paga: i costi di raccolta e smaltimento dei rifiuti. La tariffa TARI è composta da varie voci: la superficie calpestabile dell’immobile e il numero di occupanti, a cui aggiungere altre percentuali variabili calcolate dal Comune di residenza. Ai cittadini spetta il rimborso dell’IVA pagata sulle tasse per la raccolta dei rifiuti erroneamente applicata da alcuni comuni e ritenuta illegittima dalla Corte di Cassazione trattandosi di tariffa e non di tassa.
Nell’anno appena iniziato, per deliberare le tariffe, i Comuni sono chiamati a stabilire i fabbisogni standard contenuti nel documento di aggiornamento del Mef, creato con la collaborazione di IFEL e SOSE, “Linee Guida interpretative per l’applicazione del comma 633 dell’art. 1 della legge 147/2023”.
Il parametro di partenza è la stima del costo medio nazionale per una tonnellata di rifiuti, pari a 130,45 euro, a cui ogni Comune aggiunge differenziali di costo di diversi componenti, a cominciare dai livelli percentuali di raccolta differenziata: va inserita con una specificazione non lineare volta a descrivere la curva dei livelli di raccolta differenziata: più è bassa, più l’aumento è rilevante, e viceversa. Fondamentali sono anche la distanza tra comune e impianti in cui sono destinati i diversi tipi di rifiuti urbani, calcolando per ogni km un aumento di 0,18 euro per tonnellata, e il numero e la tipologia degli impianti regionali: per ciascun impianto di trattamento meccanico biologico il costo standard aumenta di 4,17 euro per tonnellata. Da calcolare anche la percentuale di rifiuti urbani trattati e smaltiti negli impianti regionali: un punto percentuale di rifiuti urbani smaltiti nelle discariche della propria regione riduce il costo di 0,22 euro per tonnellata. A cambiare è anche il costo standard per tonnellata se la forma di gestione del servizio rifiuti è associata o diretta: nel primo caso è pari a 5,82 euro.
Un’atra voce riguarda i fattori di contesto comunali, che in pratica richiedono di calcolare le caratteristiche (distinguendole da quelle costanti a quelle al contrario mutevoli nel lungo periodo), di contesto demografico, morfologico ed economico comunale, parametrato all’età media della popolazione, la percentuale di residenti con titolo universitario, la densità media della popolazione e il reddito medio complessivo imponibile IRPEF, dati da cui è possibile stimare le specificità di ogni singolo comune.
Fondamentali sono le economie/diseconomie di scala, calcolate attraverso l’inverso delle tonnellate di rifiuti urbani, che assumono rilevanza solo nel calcolo finale dei comuni più piccoli che producono minime quantità di rifiuti urbani tali da poter stabilire un costo fisso pari a 1.318,12 euro. Per tutti, al contrario, vale il calcolo della modalità di raccolta dei rifiuti urbani, che può essere “porta a porta”, su chiamata o gestita attraverso centri di raccolta, presenza questa che riduce il costo standard di 31,95 euro per tonnellata. Per finire con il cluster o gruppo omogeneo di appartenenza del comune moltiplicato per la probabilità di appartenere a ciascun gruppo. Per i comuni che rientrano nel Cluster 4 (livello di benessere medio-alto localizzati nelle zone pianeggianti del nord-est), l’apporto è pressoché nullo, mentre per gli altri gruppi varia per tonnellata.
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