Incontestabilmente, sono numerosi e di considerevole portata i progressi compiuti negli ultimi anni in campo scientifico e tecnologico; ma spesso, al di là del meritato plauso, ad essi si accompagnano anche dubbi di natura etica che impongono una riflessione su quale sia, se c’è, la linea di confine tra – da una parte - utilità e concreta applicabilità di alcuni esperimenti/ritrovati e – dall’altra – ultroneità o eccesso narcisistico.
Ci penso mentre leggo due notizie di qualche giorno fa.
L’una riguarda l’esperimento portato a termine da una neonata startup tutta italiana - Cap_able - le cui fondatrici, due trentenni piemontesi, sono riuscite a trovare delle combinazioni di colori e forme che, impiegate nei tessuti con cui realizzano capi d’abbigliamento, sono in grado di ingannare le Intelligenze Artificiali. Più nello specifico, i loro vestiti impediscono ai dispositivi di rilevamento biometrico di riconoscere come persone chi li indossa e, di conseguenza, di individuarne il volto e scansionarlo così da acquisire i loro dati e le loro identità, come invece perlopiù avviene “senza che nemmeno ce ne accorgiamo e senza sapere dove vanno queste informazioni”, come hanno dichiarato le stesse fondatrici.
Il dubbio che prontamente mi si è affacciato alla mente è se un tale pregevole ritrovato (che, per inciso, non è propriamente accessibile a tutte le tasche, giacché si aggira sui 380 euro il costo di una t-shirt e sui 560 quello di una felpa con cappuccio) non rischi di essere impiegato in maniera illegale, per esempio per consentire a ladri e malintenzionati di sfuggire a telecamere di sorveglianza.
Pare tuttavia che il pericolo non sussista poiché l’irriconoscibilità consentita da quei capi di abbigliamento sarebbe efficace solo con le IA, mentre le immagini riprese dalle telecamere resterebbero nitide e riconoscibili per le persone (quelle in carne e ossa, insomma) che, dunque, potrebbero continuare ad eseguire operazioni “analogiche” di identificazione. Dunque il vantaggio sarebbe solo quello di impedire l’invasività degli strumenti di rilevazione biometrica, senza impedire altrimenti l’acquisizione di elementi di riconoscimento ove si renda necessario per ragioni di sicurezza.
L’altra notizia riguarda invece l’esperimento avviato da una società di biotecnologia israeliana – la Renewal Bio – che, sulla scorta di una ricerca già effettuata con l’impiego di topi dall’Università di Cambridge – vorrebbe tentare di creare embrioni umani sintetici utilizzando cellule staminali, allo scopo di adoperarne gli organi come ”pezzi di ricambio” per interventi di trapianto (ma anche per risolvere problemi legati a infertilità, malattie genetiche e invecchiamento, o, ancora – utilizzando, nello specifico, le cellule del sangue– per potenziare le difese degli immunocompromessi).
In questo caso le implicazioni di ordine etico sono ben più evidenti e la stessa comunità scientifica è divisa tra chi considera l’esperimento come un traguardo della scienza medica e chi (la maggioranza), invece, ne contesta la moralità, ritenendola una sorta di manipolazione contro natura.
A me personalmente spaventa molto l’idea che, partendo dalla replica sintetica di un embrione, in un futuro non molto lontano possa persino giungersi alla realizzazione di repliche di esseri umani finiti. Altro che intelligenze artificiali: si arriverebbe all’aberrante risultato (già altrimenti temuto!) che non sarebbero più soltanto le macchine ad avere il controllo sugli uomini ma pure questi ultimi ad averlo sui loro simili!
Di fronte a scenari così inquietanti mi sento allora di riconsiderare benevolmente l’innocuo accorgimento suggerito dal premio Nobel Giorgio Parisi, che qualche giorno fa ha consigliato la “cottura passiva” della pasta (quella a fuoco spento) come rimedio per contribuire a contrastare la crisi energetica.
Avrà anche suscitato l’ilarità di chi – ritenendo forse che uno scienziato non possa avere anche doti ironiche o intuizioni elementari - ne ha inteso l’intervento quasi come un affronto alla sua scienza; ma di certo di questioni etiche non ne ha poste, a meno che tale non voglia considerarsi l’aver per poco rubato la scena a coloro che, ostentando altri ruoli ed altre competenze, si contendono l’affaccio sulla platea mediatica.
Ma è d’altro tipo, in tal caso, l’etica che viene in ballo.
© Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata