13 marzo 2018

Accesso “breve”. È nullo l’avviso sprint

Cassazione Tributaria, ordinanza depositata il 12 marzo 2018

Autore: PAOLA MAURO
Il Fisco deve attendere sessanta giorni per emettere l’avviso di accertamento anche nel caso di accesso di breve presso il contribuente alla ricerca di documentazione. Infatti il termine di cui all’art. 12, c. 7, L. 212/2000 opera in tutti quei casi in cui ci sia l’autoritaria intromissione dell’Amministrazione finanziaria nei luoghi di pertinenza del contribuente alla diretta ricerca di elementi valutativi a lui sfavorevoli.

È quanto emerge dell’ordinanza n. 5999/2018 della Sesta Sezione Civile – T della Corte di Cassazione che respinge il ricorso dell’Agenzia delle Entrate.

La Commissione Tributaria Regionale della Toscana, avendo rilevato il mancato rispetto del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, L. n. 212/2000, ha confermato l’annullamento dell’avviso di accertamento emesso a carico di una S.n.c. in relazione alla ripresa a tassazione di IVA e IRAP per l’anno 2005.

In base alla citata disposizione di legge, in caso di accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all'esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali:
  • “Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L'avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza.”

Ebbene, per i Massimi giudici la CTR della Toscana ha giustamente sostenuto che il termine dilatorio di cui al ricordato art. 12:
  • si applica anche nelle ipotesi di accesso breve presso il contribuente finalizzato all’acquisizione di documentazione.

Le Sezioni Unite (sent. n. 18184/2013) hanno chiarito che l'articolo 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000 deve essere interpretato nel senso che l'inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l'emanazione dell'avviso di accertamento - termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un'ispezione o una verifica nei locali destinati all'esercizio dell'attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni - determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l'illegittimità dell'atto impositivo emesso “ante tempus”, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva.

Le dette garanzie statutarie – aggiunge l’ordinanza n. 5999/2018 - «operano già in fase di accesso, concludendosi anche tale attività con la sottoscrizione e consegna del processo verbale di chiusura delle operazioni svolte, e ciò alla stregua delle prescrizioni dell'art. 52, comma 6, del decreto Iva ovvero dell'art. 33 del decreto sull'accertamento; siffatte garanzie si applicano anche agli atti di accesso istantanei finalizzati all'acquisizione di documentazione (come nel caso di specie, ove, come affermato dalla CTR, l’"accesso breve", teso a reperire documentazione, è avvenuto in data 18-10-2010 e si è esaurito il giorno successivo), sia perché la citata disposizione non prevede alcuna distinzione in ordine alla durata dell'accesso, ed è, comunque, necessario, anche in caso di "accesso breve", redigere un verbale di chiusura delle operazioni (…) sia perché, anche in caso di "accesso breve", si verifica quella peculiarità che, secondo la stessa Cassazione – sentenza delle Sezioni unite 24823/2015, giustifica, quale controbilanciamento, le garanzie di cui al cit. art. 12; peculiarità consistente nella autoritativa intromissione dell'amministrazione nei luoghi di pertinenza del contribuente alla diretta ricerca di elementi valutati a lui sfavorevoli – cfr. Cass. n. 7998/2016».

Il ricorso del fisco, pertanto, è stato rigettato e la Suprema Corte ha liquidato le spese del giudizio in favore della società contribuente.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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