È il “welfare” bellezza, quell’inglesismo che permette di riassumere in una sola parola tutto quello che a noi italiani costerebbe una frase difficile da ricordare: l’insieme degli interventi che un’azienda può intraprendere per garantire ai propri dipendenti un benessere lavorativo e personale.
In pratica, là dove una volta c’erano a malapena i buoni pasto, oggi si è spalancato un universo variopinto fatto di agevolazioni, supporti e aiuti, ma senza mai dimenticare proposte per il tempo libero, l’istruzione e la cura della persona. Un enorme passo in avanti dal punto di vista sociale che, secondo calcoli recentissimi porta un lavoratore dipendente su due ad essere soddisfatto delle proprie condizioni. Certo, l’obiettivo è far cambiare idea anche alla platea degli insoddisfatti – decisamente consistente - e anche di questo si è parlato a Roma in occasione del “Welfare Forum”, l’appuntamento voluto da “Edenred Italia”, azienda specializzata nell’employee benefit e dedicato al variegato mondo dell’HR.
Un’occasione per fare il punto della situazione sugli attuali scenari lavorativi, ma anche sulle prospettive per dare risposte ai nuovi bisogni delle persone, passando per gli sviluppi normativi per arrivare infine a tracciare quello che sarà il welfare di domani.
Secondo Fabrizio Ruggiero, amministratore delegato di Edenred Italia, il welfare aziendale può rappresentare uno strumento utile per ridurre il gap generazionale in un momento storico in cui quattro diverse generazioni convivono spesso nella stessa realtà lavorativa. Ma l’incontro è stato anche un modo per una riflessione sui dati dell’edizione 2024, snocciolati da Giulio Siniscalco, Commercial Director Benefit & Engagement di Edenred Italia: “Il 68% dei lavoratori italiani ritiene molto rilevante l’impatto della condizione lavorativa sul benessere mentale e psicologico. Tuttavia, solo il 29% dichiara di percepire un significativo impegno della propria azienda per il miglioramento della propria condizione e l’incremento del wellbeing. Il 76% dei dipendenti intervistati dichiara di aver provato, nella recente esperienza lavorativa, almeno un sintomo attribuibile al burnout. Tra i principali stati vissuti, il 35% ha indicato una sensazione di sfinimento, percentuale che sale al 43% tra i Millennials, nonché un calo dell’efficienza lavorativa (30%), dato che cresce fino al 38% per la Generazione Z. Tra i segnali di più generico malessere lavorativo, invece, il 50% dichiara di lavorare in modo strettamente commisurato a quanto riceve per non sentirsi sfruttato; il 42% afferma di lavorare il minimo indispensabile il lunedì per contrastare la sindrome da weekend; infine, un 34% indica come segnale di malessere l’invio di candidature “a raffica” per trovare un nuovo lavoro e “scappare” da quello in cui si trova, dato che sale al 42% per i Millennials”.
In pratica, come accennato prima, soltanto un lavoratore su due si dichiara soddisfatto dalla propria condizione e a mancare all’appello è il sentirsi responsabilizzati (62%), apprezzati (52%), coinvolti (51%), motivati (43%) e valorizzati (37%) dalla propria azienda. Non a caso, il 68% dei dipendenti si dice pronto a cambiare lavoro se avesse modo di trovare una migliore offerta di welfare, passaggio diventato ormai fondamentale nei processi di “attraction” e “retention”, in grado di attrarre o allontanare talenti e i potenziali candidati. Tra i concetti più sentiti svetta come sempre il “work-life balance”, indicato dal 25% degli intervistati, ma seguito a ruota da incentivazione e premialità (15%), supporto alle famiglie (14%) e possibilità di lavoro flessibile (13%).
Lo scorso anno, il credito welfare pro capite, ovvero la disponibilità media di spesa per ciascun beneficiario delle misure, è stato di 910 euro, in aumento rispetto agli 850 euro del 2021 e in calo sui 940 euro del 2022.
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