13 marzo 2018

PIR: ASPETTI FAMILIARI E SUCCESSORI

Autore: Simone Carunchio
Con la Circolare n. 3/E/2018 l’Agenzia delle Entrate prende posizione in merito a numerosi aspetti problematici, che si sono affacciati nella pratica, in ordine alla gestione dei Piani Individuali di Risparmio (PIR). Questi ultimi furono introdotti dalla L. n. 232/2016 (di Bilancio 2017), modificata poi dall’art. 57, comma 2, del D. L. n. 50/2017, e in ultimo dall’art. 1, comma 80, della L. n. 205/2017 (Legge di Bilancio 2018). Tra gli aspetti più controversi si annoverano quelli concernenti il diritto di famiglia e quello successorio.

Con la Legge n. 232/2016 (Legge di Bilancio 2017), all’art. 1, commi da 100 a 114, furono introdotti i “piani di risparmio a lungo termine”. La normativa fu poi modificata in primo luogo dall’art. 57, comma 2, del D. L. n. 50/2017 e, in seguito, dall’art. 1, comma 80, della Legge n. 205/2017 (di Bilancio 2018).
In breve si tratta di ‘contenitori (fiscali)’ di strumenti finanziari (quali azioni, obbligazioni o quote) o somme di denaro liquide, che devono affluire - per almeno il 70% dell’investimento, di cui il 30% in imprese diverse da quelle inserite nell’indice FTSE MIB - nel capitale di imprese italiane ed europee che operano in Italia. Possono essere sottoscritti da persone fisiche o da enti di previdenza obbligatoria o da forme di previdenza complementare, le quali, ricorrendo determinate condizioni -tra cui l’unicità della titolarità, il vincolo di composizione e di concentrazione e il vincolo di detenzione temporale - possono godere dell’esenzione dai redditi diversi e di natura finanziaria.

Ai sensi del comma 107 della L. di Bilancio 2017, qualora dette condizioni vengano meno si decade dall’agevolazione e corre l’obbligo corrispondere le imposte non pagate.

A parere dell’Agenzia delle Entrate (Circolare n. 3/E/2018, § 9) “La decadenza dal regime comporta la chiusura del piano”.

Non sembra che questa conclusione sia condivisibile: a parte il fatto che essa non risulta dal testo della legge, non è chiaro perché la decadenza dall’esenzione debba implicare detto effetto ulteriore. In sostanza ci si chiede perché l’investitore debba rinunciare all’investimento qualora decida, dando indicazioni al gestore, per esempio, di non rispettare il vincolo della concentrazione (ex art. 103, per cui non più del 10% della ricchezza del piano può essere investito in strumenti finanziari emessi o stipulati con lo stesso soggetto o con altra società appartenente allo stesso gruppo). Piuttosto sarebbe sostenibile il contrario, ossia che la chiusura del piano (per esempio, prima della scadenza del termine di detenzione) implichi la decadenza dall’agevolazione. Scopo dell'istituto, lo si richiama, è quello di far affluire risorse finanziarie verso le piccole e medie imprese operanti nel territorio dello Stato.

È su queste basi che pare possibile analizzare le indicazioni contenute nella Circolare n. 3/E/2018 in ordine al diritto di famiglia e al diritto successorio.

Per quanto attiene al primo, l’Agenzia si è concentrata sul vincolo dell’unicità della titolarità del piano (ossia che un soggetto può essere titolare di un solo piano e che esso non può avere più di un titolare) in relazione ai minori di età. In proposito, dopo aver fugato il dubbio in ordine alla possibilità o meno che un minore possa essere titolare di un PIR (il legislatore, difatti, non ha previsto limiti di età), l’amministrazione asserisce che, dal momento che l’art. 4 del TUIR stabilisce l’imputazione ai genitori dei redditi del minore soggetti a usufrutto a loro favore, gli usufruttuari non possono essere titolari altri PIR a loro nome.

Per quanto concerne l’ambito successorio, invece, occorre distinguere le imposte sui redditi dall’imposta sulle successioni. Punto di partenza è che, non avendo il legislatore stabilito una durata massima del PIR, essa coincide con la durata della vita del titolare. Ne consegue, pertanto, che a seguito del decesso del titolare il piano deve essere chiuso (cfr. § 12). Qualora il decesso si realizzi prima del termine dei cinque anni, le imposte sui redditi non devono comunque essere applicate perché la circostanza è indipendente dalla volontà dell’investitore. In ordine all’imposta sulle successioni nella Circolare è semplicemente richiamato che il comma 114 prevede la non assoggettabilità a imposta del trasferimento degli strumenti finanziari detenuti nel piano (e che dunque essi non devono essere indicati nella dichiarazione di successione).

Per tutte le ipotesi richiamate, pare evidente che la preoccupazione prima dell’amministrazione è quella di evitare le problematiche scaturenti da eventuali comunioni del PIR. Però, nel caso del minore, non si comprende perché debba essere richiamato l’art. 4 del TUIR dal momento che i frutti dell’investimento sono esenti dalle imposte sui redditi; mentre, nell’ambito successorio, non è chiaro come gli strumenti finanziari possano continuare a essere tali se il piano è chiuso (e dunque gli strumenti disinvestiti).

Delle due, l’una: o il piano e gli strumenti sono la stessa cosa, o essi devono essere tenuti distinti. Nel primo caso la decadenza dall’esenzione è coerente con la chiusura del piano, ma allora non si spiega la non assoggettabilità all’imposta sulle successioni (perché non vi sarebbero più strumenti finanziari); nel secondo caso la non assoggettabilità rispetta un’impostazione che è invece contraria a quella degli effetti della decadenza dall’esenzione propugnata dall’amministrazione. Sembrerebbe più corretta la seconda impostazione ma, nel complesso, non è quella seguita, appunto, nella Circolare in commento.

Insomma, questo ‘imbarazzo’ dell’Agenzia nei confronti della comunione manifesta la difficoltà di analizzare una normativa che non distingue felicemente tra l’investimento e le modalità e le condizioni dello stesso per accedere alle agevolazioni fiscali.

Questo ‘imbarazzo’ è indirettamente confermato dal fatto che in materia familiare, l’Agenzia si sofferma sul minore (e l’usufrutto delle sue proprietà) e non sulle criticità che potrebbero sorgere, in relazione all’unicità della titolarità del piano, dalla eventuale comunione legale tra coniugi. Che accadrebbe, infatti, se la ricchezza investita (usufruendo delle agevolazioni PIR) ricadesse già in comunione? Se si rispettassero le indicazioni fornite in merito al minore (e la ratio sottostante), se ne dovrebbe concludere che i soggetti coniugati con il regime patrimoniale della comunione legale non potrebbero sottoscrivere un investimento PIR. Questa conclusione non pare ragionevole.
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