27 marzo 2018

Ritenute previdenziali. Revoca della condanna

Autore: Paola Mauro
Ai fini della revoca del decreto penale di condanna pronunciato per il reato di cui all’articolo 2 L. n. 638/1983, sul presupposto della recente depenalizzazione, il giudice dell’esecuzione non può porre a carico dell’imputato la prova del mancato superamento delle soglie di punibilità con riferimento alle mensilità diverse da quelle per cui è stata conseguita la condanna.

È quanto emerge dalla sentenza n. 4206/18 della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione.

I Giudici di legittimità hanno accolto il ricorso presentato da un imprenditore che, condannato definitivamente per omesso versamento di trattenute previdenziali, si è visto respingere dal Tribunale di Teramo, quale giudice dell’esecuzione, la richiesta di revoca del decreto penale di condanna riguardante una sola mensilità dell’anno 2011 (dicembre). La richiesta si è fondata sull’avvenuta parziale depenalizzazione introdotta dal D.Lgs. n. 8/2016, ma è stata respinta perché il Tribunale ha ritenuto che l’imprenditore non avesse fornito prove del mancato superamento della soglia di punibilità con riferimento a tutte le altre mensilità dell’anno 2011.

L'imputato, con l’unico motivo di ricorso, ha lamentato il vizio di violazione di legge processuale riferito agli artt. 666, comma 5, 358 e 673 c.p.p., e ha evidenziato l’inammissibile inversione dell'onere probatorio in merito alla dimostrazione della non colpevolezza con riferimento a mensilità mai contestate.

Il reato di cui all'art. 2, comma 1 e 1-bis L. n. 638/1983, punito con la pena fino a tre anni di reclusione oltre alla multa, è stato, a seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. 8/16, depenalizzato e contestualmente trasformato in illecito amministrativo, ove l'omesso versamento delle ritenute non superi l'importo complessivo di euro 10.000 annui.

Le nuove disposizioni, che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative, si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto citato. Rispetto alle violazioni anteriori deve essere pronunciato il proscioglimento con la formula perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, con eventuale trasmissione degli atti all'autorità amministrativa competente, sempre che il procedimento penale non sia stato definito con sentenza o con decreto divenuti irrevocabili. In quest’ultimo caso, vertendosi in ipotesi di abolitio criminis, spetta al giudice dell'esecuzione la revoca della sentenza di condanna o del decreto penale secondo quanto previsto dall'art. 673 c.p.p., con l'adozione dei provvedimenti consequenziali.

Ebbene, nel caso di specie, la depenalizzazione del reato è sopravvenuta alla pronuncia del decreto penale di condanna; e poiché l'importo delle ritenute non versate dall’imputato (euro 3.679,00) è ampiamente sotto la nuova soglia di rilevanza penale, il Giudice dell’esecuzione doveva provvedere – scrivono gli Ermellini - a «un riscontro meramente ricognitivo dell'intervenuta perdita di efficacia della norma incriminatrice applicata nel giudizio di cognizione, senza alcuna rivisitazione del giudizio di merito, tenendo soltanto conto, nell'effettuare l'indagine, della contestazione specifica. La circostanza che la norma incriminatrice in esame non sia stata interamente abrogata, ma sia stata riscritta con una riduzione del relativo ambito di operatività, quand'anche consentisse al Tribunale di Teramo una verifica estesa all'intera annualità cui è riferita la mensilità evasa in conformità alla soglia di punibilità fissata per tutto l'arco annuale, imponeva allo stesso giudice dell'esecuzione, sulla base dello schema procedimentale dell'art. 666, comma quinto, cod. proc. pen., accertare se sussistessero nella fattispecie, già giudicata, i requisiti previsti dalla nuova disciplina (quali, ad esempio, il superamento delle soglie di punibilità), utilizzando nell'ambito di una sostanziale ricognizione del quadro probatorio già acquisito, elementi che, irrilevanti al momento della sentenza, fossero, alla luce del diritto sopravvenuto, divenuti determinanti per la decisione sull'imputazione contestata. Nessuna inversione dell'onere probatorio è, per contro, autorizzata dall'intervenuta parziale depenalizzazione dell'art. 2 l. 638/1983, gravando comunque sull'organo dell'accusa la contestazione in ordine ad eventuali ulteriori mensilità rimaste inevase che determino il superamento della soglia di punibilità riferito all'annualità in contestazione.»

L'ordinanza impugnata, pertanto, è stata annullata con rinvio al Tribunale di Teramo che dovrà, uniformandosi ai principi sopra enunciati, riesaminare la richiesta di revoca del decreto penale di condanna formulata dall’imprenditore.
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