31 luglio 2018

Sottrazione dati aziendali: legittimo il licenziamento per giusta causa

Autore: Debhorah Di Rosa
Il nuovo Regolamento UE in materia di Privacy, entrato in vigore lo scorso 25 maggio, ha introdotto una serie di adempimenti in materia di trattamento e sicurezza dei dati personali anche in ambito aziendale. Le aziende sono infatti obbligate a porre in essere specifiche misure per garantire la sicurezza dei dati oggetto di trattamento, pena l’applicazione di pesanti sanzioni, controllando anche le condotte dei dipendenti potenzialmente lesive degli obblighi di riservatezza: tali condotte assumono dunque maggiore rilevanza anche sotto il profilo disciplinare.

Al riguardo giova sottolineare che, con la sentenza n. 25147/2017, la Corte di Cassazione ha riconosciuto legittimo il recesso operato nei confronti di un lavoratore “reo” di aver copiato, sulla propria pen drive personale, alcuni dati aziendali.

Tali dati non erano protetti da alcuna password e non erano stati ceduti a soggetti terzi.

Il fatto affrontato - Il lavoratore trasferisce su di una pen drive di sua proprietà, smarrita e poi trovata in azienda, una ingente mole di dati aziendale, senza peraltro trasferirli a terzi.

Il giudizio di legittimità - Nel confermare la decisione della Corte di appello di conferma della legittimità del licenziamento per giusta causa, la sentenza adotta le seguenti motivazioni:
  • non è rilevante l’avvenuta divulgazione a terzi, essendo sufficiente la mera sottrazione dei dati;
  • è irrilevante la circostanza che i dati siano protetti, o meno, da specifiche password di protezione;
  • violazione del dovere di fedeltà sancito dall’art. 2105 c.c., che si sostanzia nell’obbligo del lavoratore di astenersi da condotte contrarie agli interessi del datore di lavoro, tali dovendosi considerare anche quelle che, sebbene non attualmente produttive di danno, siano dotate di potenzialità lesiva.

La Corte, facendo riferimento anche alla previsione dell’art. 52 del CCNL di categoria (settore chimico), ha ritenuto che, nella fattispecie concreta, ricorresse una infrazione connotata da mancata diligenza sul lavoro, trattandosi di una condotta consapevole finalizzata alla sottrazione dei dati aziendali.

La mancanza di qualsivoglia password, infatti, non può autorizzare il dipendente di avvalersi di tali dati per finalità proprie, facendo, in tal modo, uscire i dati dall’ambito della sfera di controllo del datore di lavoro.

Recita testualmente la sentenza che: “resta neutra, ai fini della valutazione della condotta, la circostanza che i dati sottratti fossero o meno protetti da specifiche password. La circostanza che per il dipendente l’accesso ai dati fosse libero non lo autorizzava ad appropriarsene creandone copie idonee a far uscire le informazioni al di fuori della sfera di controllo del datore di lavoro. È condivisibile l’affermazione della Corte di appello che una tale condotta violi il dovere di fedeltà sancito dall’art. 2105 Cod.civ. Tale dovere, come anche di recente affermato da questa Corte, si sostanzia nell’obbligo del lavoratore di astenersi da attività contrarie agli interessi del datore di lavoro, tali dovendosi considerare anche quelle che, sebbene non attualmente produttive di danno, siano dotate di potenziale lesività”.

Precedenti pronunce - Nello stesso modo si era già espressa la Corte di Cassazione con la pronuncia n. 3739 del 13 febbraio 2017, avente ad oggetto il caso del licenziamento di un lavoratore, responsabile della manutenzione di una azienda, che era stato trovato in possesso di documenti riservati concernenti la composizione chimica e altri dettagli della produzione e vendita di un prodotto chimico. Il lavoratore si era difeso affermando che per la sua posizione e lunga permanenza in azienda poteva accedere liberamente a tali informazioni.

Il giudice aveva invece ritenuto provata, sulla base delle deposizioni dei testi, la natura riservata dei documenti, che la società non aveva mai posto a disposizione del ricorrente, in quanto attinenti ad ambiti produttivi e commerciali che esulavano dal suo ruolo. Le informazioni erano destinate ad un altro imprenditore il quale aveva confermato la circostanza e confermato che era interessato ad acquisire i dati necessari per valutare la produzione del prodotto chimico.

Anche in questo caso è stato giudicato irrilevante il fatto che la divulgazione all’esterno non fosse avvenuta perché impedita dall’intervento del datore di lavoro, dovendo ricondursi al dovere di fedeltà anche situazioni che non presentino tutti i requisiti dell’articolo 2105 Codice civile, anche alla luce gli articoli 1175 e 1375 dello stesso Codice, che impongono al lavoratore il rispetto dei principi generali di correttezza e buona fede.
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