L’Associazione Nazionale Commercialisti accoglie con favore le dichiarazioni, comparse sulla stampa nonché sui social network, della Premier Meloni circa la ferma volontà di non consentire l’introduzione di una norma che permette l’accesso diretto ai conti correnti da parte dell’amministrazione finanziaria per il recupero delle imposte.
Ciò ancor più in considerazione dell’imminente scadenza del termine per il pagamento della prima rata della rottamazione quater nonché in ragione del grave ed irrecuperabile danno che, inevitabilmente, verrebbe a cadere in prima battuta sulle imprese oggetto del pignoramento, ma con inevitabili ripercussioni anche sull’economia dell’intero Paese.
Per un contribuente costituito in forma societaria, il pignoramento del conto corrente è solo il primo passo per il “fallimento”, in qualsiasi forma giuridica esso possa concretizzarsi, stante l’impossibilità a far fronte ai debiti verso i propri dipendenti come i propri fornitori, per i contributi previdenziali quanto per i canoni di locazione o i mutui aziendali, tanto per citare alcuni effetti.
Ben peggiore è lo scenario che si configura a carico del soggetto titolare di azienda individuale, che risulta drammaticamente impossibilitato al proprio sostentamento e a quello familiare nella quotidianità.
Con un sistema Paese totalmente digitalizzato e obbligatoriamente tracciato sotto il profilo finanziario, il blocco del un conto corrente bancario e dei crediti attesi rappresenta infatti l’equivalente di un azzeramento totale della identità personale oltre che aziendale e finanziaria.
Nonostante le parole espresse con fermezza dalla Premier Meloni siano rassicuranti per tutti i cittadini contribuenti, si ravvisa l’opportunità di chiedere uno sforzo maggiore teso a fare chiarezza sui procedimenti di pignoramento già messi in atto nei confronti di contribuenti in presenza di debiti già onorati, ma anche nei riguardi di coloro che hanno inoltrato istanza di adesione alla rottamazione quater come pure a precedenti provvedimenti di definizione.
In questi casi, come in quelli che perverranno verosimilmente nelle prossime ore, al fine di recuperarne i devastanti esiti, è indispensabile diffidare l’amministrazione finanziaria a revocare con effetto immediato i procedimenti già attivati, rimettendo in termini i contribuenti colpiti dalla scure, i quali, certamente, non riusciranno a versare tempestivamente quanto nei loro obblighi tributari.
Infine, ma non certamente di minor rilievo, occorre evidenziare che per il contribuente la presenza di debiti presso il concessionario non è sinonimo di evasione, salvo i casi discendenti da specifici e percentualmente minori accertamenti fiscali. L’evasore non dichiara i propri redditi, non ne ha interesse, piuttosto li occulta. Le cartelle di pagamento scadute sono invece il frutto di un sistema economico stagnante, inaridito dalla crisi pandemica ed ulteriormente appesantito dalla crisi internazionale, nel quale il contribuente non esita a porre in essere gli adempimenti dichiarativi ma non riesce poi a far fronte al pagamento delle imposte.
Un sistema fiscale che possa definirsi efficiente ed equo dovrebbe poter avere gli strumenti per distinguere la posizione del contribuente onesto, che subisce gli effetti della crisi e si trova in difficoltà da quella dell’evasore, che intenzionalmente elude i propri obblighi fiscali a danno dell’intera collettività.
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