16 febbraio 2021

Fisco, se la riforma sarà tecnologica

Autore: Paolo Iaccarino
Quali operatori del settore eravamo tutti concentrati su chi avrebbe occupato la poltrona del Ministero dell’Economia e delle Finanze, in attesa di conoscere il profilo di chi, almeno nelle attese, avrebbe guidato la prossima riforma fiscale. Dopo la paura passeggera di immaginare su quello scranno l’attuale direttore dell’Amministrazione Finanziaria quando, nella confusione dei primi momenti, c’era chi aveva fatto perfino il nome di Ernesto Maria Ruffini, l’eterno nemico della categoria nel nome delle finta digitalizzazione, l’attenzione di chi con il fisco ci vive e convive era tutta per la guida del MEF. Constatate le premesse, in quello che era stato annunciato come il Governo dei migliori, le aspettative erano molto alte, dove la scelta era fra economisti di fama mondiale e dirigenti pubblici di consolidata esperienza internazionale.

Come da pronostici la scelta è ricaduta su Daniele Franco, figura di primissimo rilievo nel panorama nazionale ed internazionale. Una lunga storia in Banca d’Italia, già prestato ai conti pubblici quale responsabile dell’ufficio della contabilità generale dello Stato, torna nell’Amministrazione Statale per occupare la bellissima scrivania, sopratutto stilisticamente, di Quintino Sella. Il suo sarà un ruolo arduo, soprattutto per quanto riguarda la riforma fiscale. L’arco costituzionale che trova rappresentanza nel Governo difficilmente consentirà di realizzare una riforma fiscale di ampio respiro, un cambiamento che non attenga semplicemente alle aliquote ed ai saldi di bilancio, ma coinvolga l’idea della società futura e la migliore forma di redistribuzione della ricchezza. Fra chi vuole la tassa piatta, come se non esistessero classi sociali, e chi spinge per una decisa progressività del sistema tributario, il nuovo Ministro dell’Economia e delle Finanze rischierà di rimanere impantanato in interventi utili alle casse dello Stato, meno agli interessi della società. Questo Governo, che ha nel Recovery Fund e nella partita dei vaccini la sua stessa ragione di esistenza, e probabilmente causa del proprio termine, non avrà probabilmente la forza di disegnare il futuro, oltre l’emergenza del momento. Agire significa prendere una posizione e quando si opera in campo fiscale significa scontentare qualcuno. E le forze politiche, pur responsabili, difficilmente acconsentiranno.

Proprio quando avevo ormai acquisito la consapevolezza che vi sarebbe stata l’ennesima riforma a metà, di quelle che finiscono per complicare ulteriormente l’ordinamento tributario, come è avvenuto da oltre quarant’anni a questa parte, ho avuto un’illuminazione. Ho avuto l’impressione che i destini del fisco non sarebbero cambiati per mano di Daniele Franco, ma grazie all’ausilio di qualcun’altro. Mentre tutti noi eravamo interessati ai destini del MEF è emersa, nuovamente per la verità, la figura di Vittorio Colao, nuovo Ministro per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale. Nato per le esigenze strettamente connesse all’attuazione del Piano di Ripresa e Resilienza, è stato chiamato ad occupare il nuovo Ministero un manager di altissimo rilievo, testimone e fautore dell’innovazione della telefonia che, negli ultimi anni, ha cambiato la nostra vita.

Vittorio Colao, come dicevo, non è una figura nuova. Già nominato responsabile della task force ideata da Giuseppe Conte per la redazione del Piano del Recovery Fund, il super manager della telefonia rientra nei palazzi del Governo con un ruolo nuovo e certamente più incisivo. Ma sopratutto vi rientra portando con sé alcune idee già espresse nelle 102 schede elaborate per il Governo Conte nel piano “Iniziative per il rilancio 2020-2022”. Un capitolo del quale è dedicato all’emersione dell’economia sommersa. Secondo Colao ed il suo Comitato la crisi offre un’opportunità storica ed irrinunciabile per affrontare una distorsione che si protrae ormai da anni. Quella di combattere il “nero” non più attraverso iniziative di carattere estemporaneo, quali i meccanismi di Voluntary Disclosure per l’emersione del lavoro nero e dei redditi non dichiarati, ma attraverso una decisa digitalizzazione finanziaria del paese tesa a ridurre al minimo la circolazione di denaro contante, un’operazione che porti, ove gli incentivi dovessero risultare insufficienti (cashback, deduzioni, detrazioni), all’introduzione di una ritenuta sui prelievi e, perfino, alla messa fuori corso, d’intesa con Unione Europea e BCE, delle banconote da 500 e 200 euro.

Il contrasto all’evasione fiscale, fino ad oggi realizzato secondo le logiche repressive della Guardia di Finanza e dell’Agenzia delle Entrate, verrà affidato all’innovazione tecnologica. Nella speranza che la digitalizzazione si estenda anche alla Pubblica Amministrazione, la lotta all’evasione verrà realizzata tagliando proprio ciò di cui l’evasione si nutre, il contante. La drastica riduzione della circolazione del denaro, non solo renderà più difficile l’adozione di comportamenti infedeli, ma li renderà meno convenienti. Ricevere in contanti il pagamento del corrispettivo, infatti, da opportunità dell’evasore seriale si trasformerà in una sciagura. Operare in contanti, quando il mondo attorno viaggia verso la digitalizzazione finanziaria, significherà rendersi facilmente individuabili, anche quando in fondo non vi è nulla da nascondere. Una scelta di opportunità che con molta probabilità cambierà lo scenario prossimo venturo, una scelta, forse retorica, un po’ come quella celebre di Nanni Moretti nel suo film Ecce Bombo: “Che dici vengo? Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?”
fascia quesiti
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