18 marzo 2013

Il peggio, nel peggio, è l'attesa del peggio…

A cura di Antonio Gigliotti

Umiltà, questa la parola d’ordine degli ultimi giorni. Un “valore” che finalmente è stato introdotto in un sistema sociale ormai troppo mirato ad apparire, a mostrarsi in prima linea con orpelli sgargianti e atteggiamenti gradassi. Umiltà e, forse, anche celerità. Si tratta di un insegnamento umano, prima che religioso, che ci è stato elargito dalla Santa Sede. Dai cardinali elettori, prima, e dal papa Francesco, poi.

Una decisione andava presa al più presto dopo le dichiarate e ufficializzate dimissioni di Benedetto XVI, pertanto il Vaticano s’è prodigato al fine di non far scorrere troppo tempo lasciando vacante la massima carica della Chiesa cattolica, nonché uno dei ruoli più importanti dell’intero globo terrestre. Ebbene, nel giro di poco più di dieci giorni, dal 28 febbraio al 13 marzo abbiamo assistito all’addio del vecchio Pontefice e al saluto (buona sera, sarebbe il caso di dire) del nuovo. Quindi la prima indicazione da far propria sarebbe appunto quella della celerità nella scelta, dovuta soprattutto dalla consapevolezza che rimanere scoperti di protezione e guida significa essere più vulnerabili.

La seconda lezione, conseguente e sicuramente generata dalla prima, è quella che papa Francesco sta testimoniando nel quotidiano: l’umiltà delle piccole (e grandi) scelte. Fin dall’iniziale rifiuto del trono, passando per la croce di legno e continuando poi con la rinuncia dell’auto papale e il dimezzamento della scorta, senza dimenticare il pagamento dell’albergo, il nuovo successore di Pietro ha mostrato che stringere il potere (sia esso temporale o spirituale) in una mano significa sentirsi alla pari degli altri, ponendosi come guida e mai come entità privilegiata. Sembra quindi che papa Francesco sia intenzionato a capovolgere l’ordine che finora abbiamo conosciuto, un ordine che purtroppo si è radicato anche nella Chiesa. Sarà un settantenne a svecchiare la società (cattolica e non)? A quanto pare è una possibilità da tener presente, soprattutto alla luce di questi inequivocabili segnali preliminari.

Riflettendo su un tale esempio di umiltà, mi vien da pensare agli scenari politici e sociali che ci circondano. Erano infatti di pochi mesi fa le notizie di ‘ragionieri’ dei partiti che s’intascavano soldi pubblici o di politici che detraevano dalle spese persino il caffè. Bassezze, queste, che probabilmente hanno influenzato anche l’esito delle recenti consultazioni elettorali. S’è detto che si è trattato di un voto di protesta, di sdegno nei confronti di una classe dirigente che però l’unica direzione che ha saputo prendere è stata quella utile a ingrossare il proprio portafoglio.

Come stridono questi atteggiamenti da ‘politica mangiatutto’ se confrontati con i primi giorni dell’investitura papale di Francesco! Anche se nel suo caso l’umiltà è ben radicata da anni di vita vissuta in mezzo alla gente comune, in un Paese che ha sofferto e sta uscendo dalla crisi proprio grazie a scelte coraggiose.

Sentiamo la necessità di cambiare e questo Papa ci sta davvero aprendo gli occhi, mostrandoci il marciume della nostra ordinarietà. È ovvio che il mio sdegno non può che coinvolgere anche i recenti episodi che hanno caratterizzato le operazioni di rinnovo della governance di categoria. Migliaia di professionisti operativi, corretti e rispettosi della propria professione sono stati defraudati di una rappresentanza, a prescindere dalla corrente politica. Quale umiltà v’è in questo atteggiamento? Quale rispetto verso il singolo iscritto si può leggere in una situazione che ci vede ancora in attesa? Ebbene sì, rimaniamo al punto di partenza, con le mani conserte ad aspettare il verdetto di un organismo terzo che, in realtà, non avrebbe dovuto essere coinvolto. E non sappiamo neanche quanto dovrà durare una simile attesa!

Eppure la gente è stanca e lo ha dimostrato eleggendo un movimento che contesta e minaccia l’arrugginita macchina politica. E si tratta di una stanchezza che ha inevitabilmente coinvolto anche la nostra categoria, la base. Noi! A questo punto sono due gli scenari possibili: o si finirà con il completo annientamento del sistema ordinistico, rendendo quindi inutile l’esistenza di un Consiglio nazionale e di tutti i suoi presidi locali; o sorgerà anche in mezzo a noi un movimento di protesta che miri a scuotere e sconvolgere gli assetti. Non so per quale delle due possibilità parteggiare, quel che ritengo certo è che serve una scelta coraggiosa e repentina… Che però non provenga dall’esterno, che non ci venga imposta da organismi terzi.

Il peggio, nel peggio, è l'attesa del peggio”, scrive Daniel Pennac. E io, infine, vi chiedo e mi chiedo: a che livello del peggio siamo arrivati? Cosa stiamo ancora aspettando?
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