17 settembre 2013
17 settembre 2013

IMU: LE BUGIE HANNO LE GAMBE CORTE

A cura di Antonio Gigliotti

Cari amici e colleghi,

eccomi qui, ancora una volta, a riflettere su quel che non va in questo Paese che incassa colpi dall’esterno e soprattutto dall’interno. Non siamo più cittadini, bensì sudditi di una classe politica che non ha basi cognitive né preparazione né tantomeno le capacità tecniche di guidarci fuori dalla crisi. La ripresa sarà lenta e delicata, eppure possibile. Questo è stato l’annuncio del presidente della Banca centrale europea. Peccato però che lungo tutta la penisola non vi sia un solo politico in grado di incarnare il grande sogno di rivalsa, che coincide in maniera semplice e chiara nel lasciarci la recessione alle spalle. Purtroppo i politici e i governanti attuali (non tanto diversi da quelli del più recente passato) non hanno la forza né la volontà di metter da parte i personalismi e gli slogan da campagna elettorale, per rimboccarsi le maniche e traghettarci verso una congiuntura economica e finanziaria più stabile.

Questa è la realtà.

Tanti lettori, nonché colleghi, mi chiedono come mai non mi stia soffermando più sulle vicende della nostra categoria, quelle insomma che coinvolgono l’ormai ‘fu’ Consiglio Nazionale. Ebbene, la nostra realtà professionale è tanto debole che occuparmene e magari essere duro, sarebbe quasi come sparare sulla Croce Rossa. La nostra categoria al momento non ha bisogno di critiche, bensì di un ricompattamento. E le mie riflessioni sono ora convogliate verso approdi più generali che includono la vita quotidiana di ciascuno di noi, commercialista o no.

Ecco, quindi che appare quanto mai chiara la necessità di parlare dell’Imu e, in particolare, di quella prima rata che hanno soppresso, quindi delle sue inevitabili conseguenze. Dunque, ricordiamo che l’Imu, per com’era concepita, prevedeva il rientro di un doppio gettito: per una parte andava nelle casse statali e per un'altra in quelle comunali. Abolita la prima rata (e forse anche la seconda, se trovano le coperture…), i comuni dove troveranno i soldi necessari per garantire i servizi finora finanziati con quel gettito? Ebbene, si consideri che su ben 8.096 comuni italiani, una cifra pari a 1.989 ha deciso di aggiungere all’Irpef un tributo locale che va a gravare sulla già alta tassazione statale del reddito delle persone fisiche. E di questa folta compagine di comuni che si avvarranno della maggiorazione dell’Irpef, almeno un quarto provvederà a maggiorare le aliquote dell’addizionale adottate lo scorso anno. Alcuni comuni hanno deciso di introdurre delle aliquote adeguate al reddito dei contribuenti. Tra questi troviamo le grandi città di Milano, Arezzo, Lecco, Reggio Emilia e Pavia, Lucca e santa Margherita Ligure che, ciascuno a suo modo, hanno optato per aliquote differenti in base al reddito. Hanno deciso di applicare invece una sola aliquota, quella dello 0,8%, 267 comuni. Tra questi comuni che hanno adottato l’aliquota massima senza progressività troviamo Messina, Gioia Tauro, Chieti, Campobasso, Rieti e Biella. Poi vi sono dei comuni che, pur avendo adottato l’aliquota massima dello 0,8%, hanno comunque previsto delle esenzioni per determinate fasce reddituali, tra questi vi sono Trieste, Macerata, Matera, Ascoli, Genova, Rovigo, Cremona, Sondrio, Vicenza, Salerno e Padova.

Non sono di certo da biasimare i comuni che, privati di un gettito che avevano preventivamente annoverato tra le proprie risorse, devono in qualche modo garantire le entrate per poter erogare i servizi, spesso solo quelli di base. I veri responsabili qui sono coloro che hanno pensato e attuato la soppressione della prima rata Imu sull’abitazione principale (e probabilmente attueranno anche la soppressione della seconda rata) senza aver però calcolato in maniera preliminare le effettive coperture e i rischi che un tale incedere avrebbe potuto causare alle entrate comunali. I comuni, rimasti senza Imu, devono far cassa anche solo per pagare i propri dipendenti. A questo ci ha pensato qualcuno dalle alte sfere? È evidente che non si sono posti il problema. Hanno agito lasciando ai sindaci la patata bollente. E questi a loro volta sono costretti ad aggravare la già esorbitante pressione fiscale a carico dei contribuenti.

Proprio sul fronte della pressione tributaria, ho letto in questi giorni i dati esposti dalla Confesercenti, in base ai quali per le imprese afferenti alla filiera medio-piccola la pressione fiscale in termini reali è arrivata al 68,3% del Pil. Un dato da far accapponare la pelle! Soprattutto alla luce di questa crisi economica che dovrebbe spingere ad alleggerire i costi a carico delle imprese, non foss’altro che per incrementare la ripresa. Tra ottobre e dicembre, continua lo studio effettuato dall’associazione dei commercianti, gli adempimenti da portare a conclusione sono 187 e comportano una spesa totale pari a circa 100 miliardi di euro. E basterebbe già solo questo dato a far sbarrare gli occhi, senza la necessità di aggiungere che oltre a tali adempimenti bisogna considerare le ritenute Irpef e le imposte indirette diverse dall’Iva.

Insomma, nulla di buono all’orizzonte. Solo i politici di sempre che per conservare una poltrona gettano fumo negli occhi ai cittadini elettori. Così, mentre loro discutono in maniera sterile su agibilità politiche varie, l’Italia va a rotoli anche causa del colpo di grazia inferto da sua maestà l’Imu: signora e padrona incontrastata di questa stagione politica caratterizzata dalla depressione economica e sociale.

“Le bugie sono per natura così feconde, che una ne suole partorir cento”, scriveva Carlo Goldoni… e i nostri politicanti sembrano aver imparato la lezione tanto dall’affannarsi nel metterla in pratica giorno dopo giorno!
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