12 aprile 2011

Parole, parole, parole.

A cura di
Antonio Gigliotti

Autore: Antonio Gigliotti
Cantava così Mina insieme ad Adriano Celentano nel 1972. Un ritornello che viene in mente ogni volta si assiste a una conferenza, un comizio, un dibattito che sia di un politico o, perché no, di qualche rappresentante del fisco o addirittura di categoria.
I grandi temi sono facili da lanciare, da usare come spot. Chi non vorrebbe un mondo migliore senza guerre e carestie? Un fisco più leggero? Una pubblica amministrazione più snella? Tutti, mi sembra ovvio. Meno scontato, invece, è il come. Latitano le proposte concrete, le vie da seguire per avvicinarsi concretamente al concetto di bene comune.
L’ho scritto nel mio primo editoriale: Fiscal-Focus.Info sarà la voce irriverente – quando necessario – di quei colleghi spesso richiusi in ufficio dalla mattina alla sera, da gennaio a dicembre (almeno una volta si finiva il 31 di maggio). Quei colleghi che nel tentare di risolvere i problemi reali dei loro clienti, si ritrovano a dover interpretare una circolare incomprensibile pubblicata il giorno prima della scadenza. Durante i corsi di formazione, raccolgo decine di queste lamentele.
Non temo di dichiarare apertamente che sono schierato con loro. Con chi, a volte, preferisce accettare piuttosto che protestare. Per senso civico, perché deve lavorare e non ha il tempo di polemizzare con i vertici.
Loro, i miei colleghi, sono l’unico condizionamento di questo giornale. Libero da vecchie e infruttifere logiche di potere. Vincolato alle esigenze della base, unico e vero tornaconto.
E allora ecco la prima provocazione che voglio buttare sul tavolo della discussione: la valenza del contraddittorio con l’ufficio, in caso di studi di settore o redditometro. Un problema che ci portiamo avanti da anni e che fa canticchiare ancora una volta quel ritornello “parole, parole, parole”. Come quelle scritte dall’Agenzia delle Entrate nelle sue circolari dove raccomanda agli uffici di instaurare dei validi contraddittori con il contribuente.
Ora, il contraddittorio avrebbe dovuto rappresentare la parte fondamentale del processo di accertamento basato appunto sul dialogo tra le parti. Solo dopo questo confronto, la verifica dello scostamento tra ricavi dichiarati e stimati avrebbe assunto carattere di legittimità.
Uso il condizionale perché se si pensa ai casi pratici ci si accorge della differenza tra teoria e pratica. Soprattutto in tema di accertamento da studi di settore. È sufficiente pensare, ad esempio, a un cliente risultato “non congruo” e magari “non coerente” perché in quell’anno ha subito un intervento chirurgico che lo ha costretto a letto per diversi mesi. La prassi prevede il contraddittorio con l’ufficio e a tal proposito il commercialista prepara la documentazione, compresa la cartella clinica rilasciata dall’ospedale a testimonianza che l’artigiano in questione non ha potuto svolgere materialmente la sua attività per un determinato periodo ed ha quindi ridotto le ore lavorative. Una volta illustrata la situazione, la risposta è: “possiamo concedere, al massimo, l’abbattimento del 5%”. Percentuale chiaramente non idonea a rappresentare la perdita di lavoro del cliente e – aspetto ancora più rilevante – decisa con criteri a tutt’oggi sconosciuti.
La conseguenza è l’emissione dell’avviso di accertamento che si traduce in un ricorso da presentare, una cartella da sospendere, nuove spese da sopportare etc, etc. Tutto questo per ottenere un risultato che un fisco efficiente avrebbe potuto raggiungere fin da subito.
La mia preoccupazione, cari colleghi, cresce vedendo il massiccio ricorso al redditometro, di vecchia e nuova generazione. Mi chiedo: questa volta l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate ci ascolterà o farà finta di non sentire. Mie personali e recenti esperienze non mi fanno ben sperare.
Sulla scorta di queste osservazioni è d’obbligo pensare al prossimo 1° luglio. Cosa accadrà quando verranno emessi comunque avvisi di accertamento, nonostante nel contraddittorio si portino le prove e gli elementi che sconfessano la pretesa dell’ufficio. Quegli avvisi saranno atti esecutivi con il rischio che dopo la decorrenza dei 90 giorni inizino i pignoramenti. Poco ci consolerà il commento degli stessi impiegati dell’Agenzia delle Entrate che rispondono “tanto poi ci sarà la commissione tributaria che certamente li valuterà positivamente”.
Constatare questo cortocircuito colposo - spero solo non volontario – è avvilente. Io so, come lo sapete voi, quanto sia frustrante ritrovarsi all’interno di una prassi distorta dal sistema stesso. Una prassi di per sé positiva che si trasforma in una zavorra per noi professionisti e per i nostri clienti, che ne scontano le conseguenze.
A volte, d’istinto, viene in mente di gettare la spugna, ma poi prevale l’amore per la professione. I sacrifici fatti finora e le soddisfazioni raccolte nonostante tutto. Sì, nonostante tutto. Perché e così che lavoriamo: nonostante la burocrazia non ci aiuti, nonostante le leggi prevedano sempre più formalità e inutili adempimenti, nonostante i rapporti tra i diversi “attori” siano antagonisti e non di collaborazione. Bisognerebbe ricordarsi che il fine ultimo è fornire servizi efficienti ai nostri clienti. Piccolo tassello per migliorare quel famoso sistema in cui tutti noi viviamo.
La paura scompare quando decidiamo di “fare”. Con passione e amore. Questo è l’unico antidoto. E allora, cari colleghi, animiamo il dibattito, proponendo i nostri antidoti. Fiscal-Focus.Info sarà il vostro ambasciatore di idee. Con forza e determinazione non ci stancheremo mai di portare all’attenzione dei nostri vertici le vere esigenze della Categoria.
 Redazione Fiscal Focus
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