14 ottobre 2020

Se siamo attori privilegiati, perché continuare ad avere paura?

Autore: Paolo Iaccarino
Benché con poche speranze, tutti noi, l’intera categoria dei commercialisti, stava attendendo l’incontro fissato per lo scorso 7 ottobre fra il Ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, ed i vertici della “professione”. Quasi come in un mantra, in maniera meditativa, quasi ossessiva alle orecchie di chi ha passato probabilmente la peggiore estate della propria vita, il Ministro dell’Economia ha ripetuto, nuovamente, come ai commercialisti debba essere riconosciuto un ruolo di interlocutore privilegiato sul tavolo del fisco e della sua forse intempestiva riforma. Perché una riforma fiscale non può essere improvvisata, sopratutto in questo momento dove, a causa del Covid19, il tempo a disposizione è poco e la categoria, profondamente divisa al suo interno, è in procinto di eleggere i suoi rappresentanti istituzionali.

Ma torniamo a noi. La nostra figura, dapprima secondaria, bistrattata, dimenticata nell’alveo delle procedure e degli adempimenti, è diventata improvvisamente essenziale. Il commercialista, quello troppo spesso confuso con fantomatici consulenti e millantatori, sembrerebbe aver finalmente acquisito la fiducia della politica e degli ambienti ministeriali, al punto da essere considerati ormai indispensabili. Tuttavia, come tanti moderni San Tommaso (Gv 20, 25.27), non possiamo accontentarci delle aperture e delle promesse, perché tali si sono rivelate alla luce degli esiti dell’incontro con il Ministro. Forse era solo una passerella, probabilmente per fini elettorali o più semplicemente per tenere calma una categoria evidentemente arrivata allo stremo delle sue forze. Ed allora, se in futuro vorremo ambire ad un ruolo davvero centrale, non solo a parole, dobbiamo affrontare con coraggio il tema o, meglio, i temi iscritti sull’agenda politica del Governo. In primo luogo la riforma fiscale.

L’attuazione delle norme. Non possiamo tirarci indietro e dobbiamo avere il coraggio di affrontare il tema. Tutti noi, nella nostra doppia veste di contribuenti e professionisti del fisco, auspichiamo che la legge delega di prossima emanazione, l’ennesima sul tema, disegni un fisco vicino ai contribuenti, meno opprimente e finalmente sostenibile. Un fisco che riproponga i temi dell’equità, riconoscendo finalmente che il problema tributario italiano non è solo una questione di base imponibile ed aliquote, ma di loro concreta attuazione. In tal senso dobbiamo avere il coraggio di affermare che a fronte di settori economici dove obiettivamente l’evasione fiscale è di difficile attuazione in ragione della tracciabilità dei pagamenti e di modelli virtuosi di conflitto di interessi, vi sono altri, soprattutto quelli relativi ai servizi alla persona, dove l’evasione fiscale, micro e di prossimità, rappresenta una grande fetta del volume economico realizzato. Non è più concepibile la percezione che il reddito disponibile di ciascun imprenditore dipenda in buona parte dal settore di appartenenza. Questo crea danni all’Erario ed alimenta il conflitto sociale. Non si tratta di una questione di sopravvivenza: se il fisco, in tutti i settori economici, fosse più attento alla corretta attuazione delle norme probabilmente, anche con le attuale, le aliquote potrebbero scendere, a beneficio di tutti.

La semplificazione. La riforma fiscale, per quanto rappresenti una questione a cuore per chi quotidianamente si confronta con basi imponibili, deduzioni e detrazioni, è solo una faccia della medaglia, quella che probabilmente in questo momento storico ci interessa di meno. La questione che la categoria deve porre è diversa ed anteposta. La riforma fiscale dovrà rappresentare la chiave di volta, da un fisco burocrate ad uno snello, semplice e stabile nel tempo. È necessario riscrivere le norme affinché non vengano modificate ad ogni legge finanziaria, disegnare regimi fiscali dalla facile applicazione, eliminare adempimenti e balzelli che, sinceramente, non trovano più alcuna giustificazione. Bisognerebbe andare nel senso diametralmente opposto rispetto alle proposte del Direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini. Invece di 12 mini dichiarazioni fiscali, tutt’altro che automatizzate, le ennesime che vanno ad aggiungersi agli adempimenti già in vigore, bisognerebbe comprendere che la semplificazione, sempre decantata ma mai attuata, presuppone una riduzione dei tempi di elaborazione. Bisognerebbe discernere le proposte secondo la loro concreta utilità, evitando di osteggiarle a prescindere. Come fatto, ad esempio, con la fatturazione elettronica. Perché l’introduzione del documento elettronico e le sue conseguenti opportunità in tema di automatizzazione dei dati rappresenta, probabilmente, l’unica vera semplificazione degli ultimi 20 anni.
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