27 febbraio 2020

Il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza: obbligo o opportunità?

Autore: Francesca Gagliano
A partire da anni ’70 fino al 2008 il ruolo del Commercialista Fiscalista, ha toccato l’apice del mercato delle Professionalità che si muovevano negli scenari aziendali (70% del mercato).

Inesorabilmente e ad alta velocità, il Commercialista, perde il suo ruolo professionale sotto i continui mutamenti obbligatori che rivendica l’Agenzia delle Entrate.

Diventando il suo “operatore” a titolo gratuito, snaturando la consulenza a meri adempimenti, in una corsa all’inseguimento dell’ultima Nota dell’Agenzia delle Entrate.

Lo scenario professionale del Commercialista a partire dal 16 marzo del 2019 muta.

L’obbligo dell’applicazione delle prescrizioni del Codice della crisi di impresa ripristina silenziosamente il ruolo della consulenza, permettendo al Commercialista di sgabbiare dal cul-de-sac delle scadenze.

Come leggere questa nuova opportunità - Trae in inganno il titolo stesso della nuova normativa “Il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”, che dovrebbe invece essere letto come “il nuovo Codice predittivo e precauzionale della Crisi di Impresa”.
Quindi non si tratta di porre in essere una consulenza a consuntivo (bilancio aziendale), ovvero al presentarsi della crisi, ma di tipo previsionale (business plan).

Infatti l’art. 3 del CCI dispone che “1. L’imprenditore individuale deve adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte.
2. L’imprenditore collettivo deve adottare un assetto organizzativo adeguato ai sensi dell’articolo 2086 del codice civile, ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell’assunzione di idonee iniziative”.

La prevenzione della crisi riguarda le imprese «sane»- Il codice della crisi e dell’insolvenza ha radicalmente riscritto i parametri gestionali a cui si devono ispirare ed uniformare tutti gli imprenditori individuali e gli amministratori delle società, indipendentemente dal tipo di attività e dalle dimensioni (sono escluse solo le grandi imprese e le banche), che sono obbligati a pianificare «interventi» o «procedure» in grado di intercettare i primi segnali di squilibrio economico e finanziario, al fine di evitare lo stato di crisi.

Una prima fondamentale conclusione - Rivoluzione culturale nella considerazione della crisi d'impresa, che non viene più considerata come disvalore imputabile a qualcuno, imprenditore in primis, come un tempo, ma un evento fisiologico nella vita dell'impresa che opera nell'ambito del mercato globale.

Il legislatore, in maniera molto chiara, ha voluto ancorare tutta la riforma della crisi d’impresa attorno ad un concetto chiarissimo:
  • è obbligo degli amministratori e dei revisori fare qualsiasi cosa per prevenire la crisi.
  • l’impianto normativa non è punitivo ma proattivo al fine del mantenimento dell’integrità aziendale.
  • l’impianto normativo è premiante per coloro che segnalano puntualmente la possibilità di crisi:
    • a) scarico da responsabilità penali e civili
    • b) facilitazione nelle procedure di superamento della crisi grazie all’OCRI.

Assetti organizzativi: un obbligo indefinito - Un obbligo rilevante per l’imprenditore collettivo che il legislatore ha introdotto senza delinearne i contenuti, rendendo la norma indeterminata e generando una situazione di incertezza alquanto pericolosa:
  • cosa deve fare l’imprenditore per adottare un «assetto adeguato», con il rischio di predisporre modelli organizzativi, amministrativi e contabili inadeguati o eccessivi;
  • un rischio ancora maggiore dovuto all’incertezza normativa risiede nelle difficolta di chi dovrà valutare, a posteriori, l’operato dell’imprenditore, soprattutto nel caso in cui la crisi sfocia nell’insolvenza: sulla base di quali parametri verrà valutato l’imprenditore?

Proviamo a definire gli assetti – Secondo gli Indici di Allerta del CNDCEC, l’assetto organizzativo può essere definito come l’insieme delle procedure, degli strumenti e delle risorse umane impiegate nelle attività di prevenzione della crisi e di monitoraggio della continuità aziendale, che devono essere espletate anche attraverso il calcolo degli indici e degli indicatori previsti dal CCI.
La quantità e la qualità delle procedure, degli strumenti e delle risorse umane testé citate varia in relazione alla natura e dimensioni dell’impresa.

Il commercialista, da ruolo meramente operativo “operativo” a ruolo “manageriale” - Il ruolo del Commercialista è di ausilio, ripristina la sua figura manageriale volta “[…] ad anticipare l’emersione della crisi intesa come strumento di sostegno, diretto in prima battuta ad una rapida analisi delle cause del malessere economico e finanziario dell’impresa, e destinato a risolversi all’occorrenza in un vero e proprio servizio di composizione assistita della crisi, funzionale ai negoziati per il raggiungimento dell’accordo con i creditori o, eventualmente, anche solo con alcuni di essi (ad esempio quelli meno conflittuali, o più strategici [...]”.

Il consulente può, quindi, integrare gli assetti del piccolo imprenditore collettivo. Nelle imprese collettive, in assenza di organizzazione, procedure e risorse umane qualificate il consulente, anche attraverso sistemi di Business Intelligence, può contribuire all’introduzione dei modelli di risk management richiesti dal legislatore del CCI ed in particolare strumentare l’impresa con gli indici/indicatori prescritti per intercettare la crisi.

Per gli indici di previsionali della crisi, il ruolo chiave passa ai commercialisti - L’art. 13. co. 2 del Codice della Crisi e dell’insolvenza d’impresa (d.lgs. 12 gennaio 2019, n.14, pubblicato sul Supplemento ordinario alla “Gazzetta Ufficiale„ n. 38 del 14 febbraio 2019 - Serie generale) assegna al Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili il compito di elaborare gli indici necessari al completamento del sistema dell’allerta, introdotto nell’ordinamento con la legge delega (19 ottobre 2017, n. 155).

In particolare, la norma prevede che «il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili, tenuto conto delle migliori prassi nazionali ed internazionali, elabora con cadenza almeno triennale, in riferimento ad ogni tipologia di attività economica secondo le classificazioni I.S.T.A.T., gli indici di cui al comma 1 che, valutati unitariamente, fanno ragionevolmente presumere la sussistenza di uno stato di crisi dell'impresa».

Attenzione al patrimonio netto e ai flussi di cassa prospettici, gli indici di allerta principali per le imprese - Gli indici, secondo l’art. 13 commi 1 e 2, che forniscono una ragionevole presunzione dello stato di crisi e che pertanto devono essere monitorate a cura dell’imprenditore, sono i seguenti:
  1. il patrimonio netto (da monitorare su base trimestrale ) non deve essere negativo o inferiore al minimo legale anche attraverso la verifica della situazione contabile (PN>0);
  2. il DSCR (debt service coverage ratio): è necessario prevedere i flussi di cassa almeno a 6 mesi e verificare se sono sufficienti per sostenere gli oneri dell’indebitamento (mutui, rateizzazioni, ecc, compreso la quota capitale e gli interessi). In tal caso il DSCR >1.
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