Secondo la Treccani, l’influencer è un “Personaggio di successo, popolare sui social network e molto seguito dai media, che è in grado di influire sui comportamenti e sulle scelte di un determinato pubblico”. È il caso di fenomeni mediatici noti a tutti come Jennifer Lopez o Chiara Ferragni, l’imprenditrice mantovana finita nei guai per il cosiddetto “Pandoro gate”.
Ma da qualche tempo, si stanno affacciando alla ribalta i “FinInfluencer”, tamponamento lessicale fra il termine finanza e quello che indica i personaggi che fanno tendenza, questa volta declinati non su profumi, abiti, auto, accessori e gioielli, ma pronti a elargire consigli su investimenti.
Va da sé che, a fronte di qualcuno preparato, il rischio di diventare vittima di chi afferma di sapersi muovere nei corridoi a volte semibui della finanza è molto alto. Riconoscerli, secondo gli esperti, a volte è più semplice di altri, perché in molti, volendo dimostrare di saperci fare esibiscono stili di vita faraonici, lanciandosi grazie ad ottime capacità comunicative e forza di persuasione in analisi di trend, società quotate e titoli emergenti.
Per contro, una tendenza che negli anni più recenti sta vivendo di una popolarità crescente, iniziata dalla forte ascesa degli investimenti retail iniziata durante i mesi della pandemia, quando pur di superare le noia dei “domiciliari da virus”, in molti hanno pensato di provare qualche brivido affidando i propri risparmi ai consigli di qualcuno, o buttandosi sulle piattaforme online.
Va detto, come accennato prima, che a fronte dei soliti millantatori (che non mancano mai), spesso sono le banche stesse a creare o lanciare dei FinInfluencer come strategie di marketing per attirare Millennial e Gen Z. E ovviamente in questi casi la faccenda assume tratti ben diversi, perché almeno la preparazione e le capacità sono testate in partenza.
Il pericolo a monte di tutto, specie se si sceglie la strada del professionista dal passato oscuro e la preparazione discutibile, è lo scarso livello di alfabetizzazione finanziaria degli italiani, ovvero la mancanza a volte assoluta di nozioni base sui principali strumenti finanziari e l’ABC sul funzionamento dei mercati. Un punto delicato su cui l’OCSE si batte da tempo, chiedendo proprio all’Italia di creare opportunità di cultura finanziaria senza cui diventa rischioso gestire in modo corretto i propri risparmi, alzando di conseguenza la facilità di finire vittima di raggiri e truffe.
Un allarme fatto suonare anche dalla Consob, che nel “Rapporto sulle scelte di investimento delle famiglie italiane 2022”, attribuiva alla scarsa cultura finanziaria una delle cause nella difficoltà d molti di gestire le finanze personali, indietro anni luce rispetto ad altri Paesi come Germania e Francia, finiti rispettivamente al primo e al quindicesimo posto di un questionario concepito dall’OCSE per comparare il grado di cultura finanziaria di 39 Paesi fissando a 14 punti su 20 il punto per considerare una preparazione accettabile anche se minima. I tedeschi, come accennato, hanno raggiunto quota 15,2, mentre i francesi hanno sfiorato la sufficienza con il 12,07, ma confortanti sono stati anche i risultati in Thailandia, Hong Kong e Irlanda. L’Italia, per dovere di cronaca, è rimasta parecchio indietro, rimediando uno scarso 10,2, ben lontano dalla quota minima di salvezza.
Secondo Michael Smyth, presidente della sezione specializzata UE economico e monetaria, coesione economia e sociale del CESE, “L’innovazione finanziaria e la mancanza di trasparenza del sistema hanno reso ardua per i cittadini europei la comprensione di un mercato già di per sé complesso e globalizzato, invaso da una gamma enorme di prodotti finanziari. L’educazione finanziaria è uno strumento strategico da affiancare al nuovo processo di miglioramento della regolamentazione dell’intero sistema”.
Tornando ai FinInfluencer, verso la fine dello scorso anno l’ESMA (European Securities and Market Authority), per tentare di proteggere gli investitori più giovani e vulnerabili, ha puntato i riflettori verso le comunicazioni marketing che riguardano i prodotti finanziari per valutarne chiarezza, correttezza e la presenza di eventuali messaggi fuorvianti.
Ma spostando il baricentro dal fenomeno alle cause, emerge in modo chiaro uno scenario rappresentato dalla sfiducia dei risparmiatori, privati del tutto o quasi dai consigli e le guide di esperti arroccati nei loro territori, che finiscono in modo quasi inevitabile di cedere al fascino del “pifferaio magico”, personaggio in voga dalla seconda metà del XIV secolo. E tristemente ancora attuale.