22 maggio 2021

Battiato, genio e poeta

Autore: Ester Annetta
Il racconto della vita di Franco Battiato non è quello di una sola esistenza, ma di tante, almeno quanti sono stati, artisticamente, i generi che il suo genio ha percorso.

Mai artista fu più eclettico; mai, se non nella mente di chi, come lui, può a buon titolo definirsi maestro, hanno saputo convivere culture e correnti diverse, spiritualità e concretezza, ironia e critica, in una continua sperimentazione ed in una costante ricerca della verità, della bellezza e dell’essenzialità i cui esiti sono sempre sfociati nell’offerta di proposte nuove e sapientemente attuali.

I suoi testi, non sono mai stati di impatto ed intuizione immediata, eppure hanno sempre detto molto di più rispetto alle parole, lasciando spazio all’interpretazione ed alla scoperta di significati spesso enigmatici, come del resto enigmatico era lui stesso.

Non ha avuto solo estimatori, è vero: ci sono stati anche i contestatori – specie tra coloro che dai suoi brani hanno estratto unicamente contenuti politici – oppure distratti ascoltatori che non sono mai andati al di là delle sonorità della sua voce – magari giudicata noiosa - perdendosi così la sostanza più profonda dei suoi versi o le innovazioni della sua composizione.

Ma anche questo era parte del suo essere: l’inafferrabilità immediata del suo pensiero, il suo ermetismo, in uno con il continuo mutare del suo registro comunicativo.

Eppure, è proprio attraverso questo suo incessante evolversi che Battiato ha consentito di tracciare, nette, le tappe fondamentali del suo percorso esistenziale e identificare i diversi temi oggetto della sua attenzione. Mediante i suoi testi, collocati in precisi momenti storici, ha cadenzato l’evolversi del suo pensiero, spostando di volta in volta la centralità del suo interesse.

Il risultato è stato quasi il tessuto d’una trama che – se invece che poesia fosse stata una prosa – si sarebbe potuta definire di formazione: i suoi brani hanno rivelato le sue maturazioni, i traguardi del suo pensare, il finale delle sue riflessioni.

Dalla critica sociale e politica fino alla filosofia e all’ispirato abbandono alla spiritualità, passando attraverso l’esaltazione dell’amore, Battiato ha toccato ogni tema caldo, temuto o caro agli uomini.

Così, dalla ricerca del suo “Centro di gravità permanente” con cui - attraverso un accattivante e coinvolgente elenco di situazioni stilato secondo un preciso assemblaggio di citazioni letterarie, ha confezionato una sapiente fusione di realtà e suggestioni - è passato all’aperta denuncia sociale con il suo accorato “Povera Patria”, un brano ancora oggi attuale con cui, quasi ricordando la celebre invettiva dantesca («Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincie, ma bordello!» contenuta nel VI canto del Purgatorio) ha denunciato l'assenza di una classe dirigente in grado di garantire lo sviluppo del paese, sottolineando l’abuso di potere con eleganti metafore quali "Nel fango affonda lo stivale dei maiali".

C’è poi stata la riflessione sull’amore, con quel capolavoro che è “La Cura”, l’inno delicato all’assolutezza e all’universalità del più nobile dei sentimenti. È il brano che più d’ogni altro ha fornito diverse ed affascinanti chiavi d’interpretazione, volte alla ricerca di un “protagonista”, che, di volta in volta, è stato individuato in un io qualunque che si rivolge ad un amato qualsiasi – un uomo, una donna, un figlio –; all’amore stesso che parla in prima persona all’intimo d’ogni essere umano; o, infine, a Dio, padre creatore che cura ogni sua creatura.

L’ultimo approdo, che ha peraltro segnato l’impegno artistico finale di Battiato, prima che si richiudesse nel silenzio e nella solitudine della sua (enigmatica anche quella) malattia è stato, nel 2019, «Torneremo ancora».

Qualcuno l’ha definito il suo testamento, il lascito finale dell’artista di ritorno ad uno dei suoi temi mistici più sentiti: il mistero del passaggio dalla vita alla morte, descritto come un abbandonarsi al sonno che, tuttavia, non è una fine.

La vita non finisce, è come il sogno, e la nascita è come il risveglio; “finché non saremo liberi torneremo ancora ancora" cantava Battiato, citando i migranti di Ganden (uno dei principali ordini monastici tibetani), l’accenno alle cui migrazioni riguardava il percorso delle anime al termine della vita terrena.

Lui stesso ne aveva così commentato il significato: “Siamo tutti esseri spirituali, in cammino, verso la liberazione. Ma finché liberi non lo saremo, torneremo ancora, e più volte, a questa vita terrena, perché l’esistenza ciclica si perpetua fintanto che l’anima non sarà del tutto libera dalle emozioni perturbatrici dell’ego che la tiene avvinta. In realtà siamo schiavi delle nostre emozioni, che ci dominano e spesso finiscono in tragedia… bella libertà! La liberazione non può avere legami, né attaccamenti. Bisogna mantenere l’atteggiamento di un viaggiatore che torna a casa”.

Buon viaggio allora, Maestro.
La tua poesia e la tua musica riusciranno a farti superare le correnti gravitazionali, lo spazio e la luce per non farti invecchiare.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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