Joe Biden ha confermato le indiscrezioni apparse sul “Financial Times” e poi riprese da diversi media americani, secondo le quali la sua amministrazione avrebbe intenzione di mettere in guardia le aziende statunitensi che lavorano ad Hong Kong per una situazione “in rapido deterioramento” sul territorio cinese.
“La condizioni a Hong Kong peggiorano, e il governo cinese non sta mantenendo l’impegno che aveva assunto”, ha riferito Biden ai giornalisti facendo chiaro riferimento alla promessa di Pechino di mantenere lo status semi-autonomo della città per almeno 50 anni dopo il passaggio dalla Gran Bretagna del 1997.
Biden ha descritto l’ormai prossimo “warning” come “ben più di un consiglio su ciò che potrebbe accadere a Hong Kong”, ma senza aggiungere ulteriori dettagli. Non è la prima volta che Washington esorta le aziende alla prudenza verso Hong Kong, protagonista di un cambiamento significativo da, 2019, quando le proteste antigovernative dei movimenti pro-democrazia hanno sconvolto la città. L’anno scorso la Cina ha deciso di dare un giro di vite, varando la discussa legge sulla sicurezza nazionale che permette a Pechino un controllo sempre più stretto e un potere quasi senza limiti. Quando la legge è diventata operativa, l’ex presidente Trump ha revocato le relazioni e i privilegi speciali che gli Stati Uniti riservavano ad Hong Kong, e il governo americano ha anche sanzionato diversi funzionari cinesi, tra cui il capo dell’esecutivo di Hong Kong Carrie Lam. Sanzioni che secondo la “Reuters” Biden avrebbe intenzione di aumentare come risposta alle nuove restrizioni e al genocidio contro gli uiguri musulmani dello Xinjiang.
Secondo Brock Silvers, responsabile degli investimenti per la “Adamas Asset Management”, “poche aziende statunitensi che attualmente operano a Hong Kong saranno sorprese dall’avviso, che riflette il rapporto sempre più conflittuale tra la Cina e gli Stati Uniti, paesi le cui relazioni sono state erose per anni mentre Washington e Pechino trovano terreno di scontro su tutto, dal caso Hong Kong ai Big Data, dal commercio agli investimenti esteri”.
Che la situazione sti peggiorando lo dimostrano a fuga di società americane da Hong Kong, come quella del “New York Times”, che ha spostato le proprie redazioni asiatiche a Seoul, e lo stesso meditano di fare i colossi tecnologici come Facebook, Google e Twitter.
Il mese scorso Tara Joseph, presidente di AmCham, la Camera di Commercio Americana di Hong Kong, ha definito la scomparsa del tabloid pro-democrazia “Apple Daily” un “colpo letale” dopo l’arresto dei giornalisti e il sequestro di beni per svariati milioni di dollari: “Non è solo la chiusura dell’Apple Daily, è la nuova normalità imposta a forza, il cambiamento di pelle radicale che la città sta attraversando, costretta a passare da un’era felice come ex colonia britannica ad una in cui è sempre ingoiata dalla Cina continentale”.
Il governo di Hong Kong ha respinto le preoccupazioni attraverso la voce di Carrie Lam, che ha chiesto ai media di non accusare le autorità di “usare la legge sulla sicurezza nazionale come strumento per sopprimere e soffocare la libertà di espressione”.
Per William Reinsch, esperto di commercio al Center for Strategic and International Studies, “L’imminente annuncio dell’amministrazione Biden è una dichiarazione dell’ovvio. La regola ‘un paese, due sistemi’ è morta, e questo rende il ‘warning’ essenzialmente un avvertimento alle aziende americane che il rischio di restare a Hong Kong è aumentato significativamente e soprattutto mette il governo nella condizione di poter dire, ‘Ve l’avevamo detto’, quando succederà qualcosa di brutto. E succederà, è solo questione di tempo”.
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